Mercoledì 24 Aprile 2024

L’Italia di Steno: l’arte di ridersi addosso

Alla Festa di Roma un documentario dedicato al regista di Totò, Sordi, Bud Spencer e di innumerevoli film pieni di pungente ironia

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di Giovanni Bogani

Aveva un’aria da gentiluomo, Steno. E del resto, era un piemontese di Arona, deliziosa cittadina con vista sul lago, dove era nato nel 1917. Lui, l’uomo che avrebbe coltivato, per tutta la vita, l’arte preziosa dell’ironia. L’uomo che avrebbe diretto Totò in una serie innumerevole di film: quei film che regalarono all’Italia un patrimonio di risate, unico bene di consumo quando c’era ben poco da consumare, nell’Italia affamata e ancora ingenua degli anni ’50. Di sé, diceva: "Sono un regista che va a girare sempre in giacca e cravatta". Non gli piaceva la caciara, quel mondo un po’ cinico, un po’ cialtrone dei “cinematografari“ romani. Gli piacevano la letteratura, la pittura, la musica. Ai figli Enrico e Carlo Vanzina, che avrebbero firmato a loro volta innumerevoli film di successo dagli anni ’80 in poi, diceva spesso: "Se volete fare film comici, leggete tutta la letteratura possibile, poi passate ai quadri e alla musica".

Una figura così – quella di Steno, alias Stefano Vanzina , regista di qualcosa come una settantina di film, e sceneggiatore di un numero ancora maggiore – viene raccontata nel documentario Steno di Raffaele Rago, che sarà presentato nella sezione “Storia del cinema“ della Festa di Roma. Nel film, molte le testimonianze di attori, attrici, registi, sceneggiatori. A partire dal figlio, Enrico Vanzina, ma ci sono anche le testimonianze di Diego Abatantuono, Claudio Amendola, Lino Banfi, Eleonora Giorgi, Giovanna Ralli, Massimo Ranieri e vari altri, fino ai registi Marco Risi e Giuseppe Tornatore. Ne viene fuori il ritratto di un uomo minuto, elegante, preciso, dal sussiego quasi ottocentesco. Ma anche di un uomo di grande sensibilità, di intuito finissimo. Quando, nella redazione della rivista satirica Marc’Aurelio, nella quale lavorava, si presenta un giovane magro e impacciato, di nome Federico Fellini, Steno capisce al volo il talento di quel ragazzo. Gli basta un disegno di prova, e lo fa assumere immediatamente.

Steno è stato – per i primi dieci anni, in coppia con Mario Monicelli – il regista di Totò. È stato il grande burattinaio di un burattino che prendeva vita da solo, che si animava in modi sempre imprevedibili. E anche in quel caso, Steno aveva l’accortezza di lasciare spazio al suo fuoriclasse. Nella quasi totalità delle scene, Steno evitava di dare lo stop: sapeva che Totò avrebbe potuto tirar fuori una zampata, una chiusa fulminante non prevista in sceneggiatura.

Un po’ di titoli, nella sua immensa filmografia? Guardie e ladri, del 1951, con Totò e Aldo Fabrizi memorabili in un continuo duetto dolceamaro e umanissimo; ma anche Totò a colori – e che colori! – del 1952. Se volete sentire frasi ormai leggendarie come "Ma mi faccia il piacere!" e "Io sono un uomo di mondo, ho fatto il militare a Cuneo!" dovete vedere quel film lì.

E se invece volete vedere Alberto Sordi che guarda il piatto di spaghetti, dopo averlo disprezzato, e gli dice: "Maccarone! M’hai provocato, mo’ me te magno!", dovete vedere Un americano a Roma, sempre firmato, ovviamente, da Steno. Che è anche il regista di Febbre da cavallo, con Gigi Proietti e Enrico Montesano. E ancora, i film di Piedone Bud Spencer, e il Tango della gelosia con Monica Vitti e un giovanissimo Abatantuono…

Insomma, nell’arco di quasi quarant’anni, quel distinto signore piemontese ha raccontato l’Italia, con uno sguardo disincantato, con un’ironia pungente, senza moralismi. Raccontandoci chi siamo.

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