Giovedì 25 Aprile 2024

L’intelletto della libertà Croce settant’anni dopo

Nell’anniversario della scomparsa, ecco i suoi scritti autobiografici. Un “Soliloquio“ distillato etico di esperienze umane e valori democratici

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di Antonio Patuelli

Settant’anni fa, il 20 novembre 1952, Benedetto Croce concluse la sua lunga e operosissima vita: è stato uno dei principali intellettuali italiani ed europei del Novecento, soprattutto come storico e filosofo. "Esiliato in patria" durante la ventennale dittatura, di cui fu uno dei principali oppositori, Croce ha lasciato un’enorme qualità di scritti tuttora imprescindibili e che continuano ad essere ripubblicati. Alla vigilia di questo importante anniversario è stato pubblicato un distillato etico delle sue più difficili esperienze umane, una selezione di suoi appunti e scritti autobiografici sempre attuali (Soliloquio, Adelphi editore).

Croce, appassionato cultore della libertà e della democrazia, non si lasciò travolgere da chi nel 1915 portò alla terribile prima guerra mondiale i cui effetti tragici furono in Italia intuiti soprattutto da Giovanni Giolitti e da Papa Benedetto XV. Dopo il disastro di Caporetto, che avrebbe potuto distruggere l’indipendenza e unità d’Italia, Giolitti sostenne l’impegno italiano e i cambiamenti che vennero subito realizzati; il Papa mantenne al fronte i cappellani militari a sostegno dei soldati italiani, quando allora non vi era ancora il Trattato di pace che avrebbe concluso il conflitto fra Stato e Chiesa per la “questione romana” e la fine dello Stato Pontificio. E il 3 novembre di quel tragico 1917 Croce scrisse che "la guerra, che finora, agevolata da talune condizioni internazionali, solo in parte era nostra, ora si fa veramente nostra".

Vinta finalmente la guerra nel 1918, Croce si tenne lontano dal trionfalismo nazionalistico, ma coniugò la gioia con la lungimirante consapevolezza delle "nuove difficoltà, pei nuovi problemi che dalla nuova situazione germinano, pei nuovi doveri che in essi maturano", conscio della desolazione esistente "nel mondo tutto, tra i popoli nostri alleati e tra i nostri avversari".

Con queste profonde consapevolezze, Croce nel 1920 accettò di far parte del quinto Governo Giolitti come Ministro della Pubblica Istruzione, mentre rifiutò l’incarico nei primi governi Mussolini. Dopo l’assassinio di Matteotti, nel 1925, su sollecitazione di Giovanni Amendola (che era stato capo della redazione romana del Resto del Carlino e poi del Corriere della Sera) scrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti che fu firmato anche da Luigi Einaudi che, vent’anni dopo, sarebbe diventato Governatore della Banca d’Italia, Ministro e salvatore della Lira con Alcide De Gasperi e Presidente della Repubblica. Quel Manifesto costò a Croce la devastazione della casa.

Croce fu sempre un rigoroso critico di ogni sintomo di decadenza della vita civile, anche nelle abitudini quotidiane e nel mutare degli animi per opportunismo. Nel 1932 Croce pubblicò la Storia d’Europa nel secolo decimonono, un inno alle libertà che, citando versi di Dante, dedicò a Thomas Mann (che accettò con gratitudine), col quale aveva forti consonanze di pensiero.

La seconda guerra mondiale, che aveva da lungo paventato, non lo sorprese, ma lo impegnò nella ricostruzione morale e civile dell’Italia: nell’Assemblea Costituente, ottuagenario, pronunciò memorabili discorsi, pur essendo ben consapevole di avvicinarsi alla morte. Nel 1951 scrisse che "malinconica e triste che possa sembrare la morte, sono troppo filosofo per non vedere chiaramente che il terribile sarebbe se l’uomo non potesse morire mai, chiuso nella carcere che è la vita, a ripetere sempre lo stesso ritmo vitale che egli come individuo possiede solo nei confini della sua individualità, a cui è assegnato un compito che si esaurisce".

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