Venerdì 26 Aprile 2024

L'Indiana Jones italiano e il gioiello del Nilo

Le incredibili imprese di Giovanni Miani, il “Leone Bianco“: a metà del 1800 lasciò l’Italia per cercare in Africa le mitiche sorgenti del fiume

Il “Leone Bianco del Nilo" Giovanni Miani (nato a Rovigo, 1810; morto in Zaire, 1872)

Il “Leone Bianco del Nilo" Giovanni Miani (nato a Rovigo, 1810; morto in Zaire, 1872)

Passa da Rovigo la ricerca dell’Arca Perduta e del mitico Ofir, da dove la Bibbia informa che Salomone ricevesse un tributo triennale di navi cariche di pietre preziose, oro, incenso, mirra... Nel rodigino Palazzo Roncale, una mostra (fino al 26 giugno) riscopre, attraverso mappe e reperti e foto e avvincenti documentari, un eclettico esploratore nato nel Polesine dalle molte isole, nel 1810. "Personaggio perfetto per un grandioso film", profetizza l’ultraottantenne Renato Casaro, il più grande cartellonista di Cinecittà e Hollywood, dedicandogli il manifesto: “Giovanni Miani: Il Leone Bianco del Nilo”.

Per il coraggio indomito e la candida barba, l’incoronazione era avvenuta nel Continente Nero. Dove lo aveva guidato "non l’inutile erudizione", ma la fede nella Bibbia. Tanto incrollabile da fargli astutamente proclamare nel 1858, davanti alle Società Dotte di Francia riunite a congresso: "L’Ofir è nel centro dell’Africa, e credo poter far conoscere i tesori che essa possiede, e quanta utilità sarà la scoperta del Nilo, essendo vicina all’Oceano Indiano".

Un sogno, "innalzare il velo che copre le origini misteriose del fiume colossale", inseguito dal capitalismo europeo incanalato in quel corridoio, mentre sta scavando Suez. Altra faccia del sogno, la ricerca dell’Ofir: a Giovanni, sempre a corto di finanziamenti, consuma la vita. Una vita da “bastardo” risoluto a diventare “qualcuno”. Vita conclusa 150 anni fa, nel Monbuttu (attuale Zaire). Lo annota Daniele Comboni, vicario dell’Africa Centrale: distrutto da fatiche, dissenteria e necrosi al braccio, il "celeberrimus et audacissimus" cavaliere Dominus Joannes Miani è andato incontro al giorno supremo, il 21 novembre 1872, "sine luce et sine cruce".

A parziale conforto del gran fumatore, piante di tabacco erano state piantate intorno alla tomba. Rasa la sua fluente barba, il re Mbunza, capo dei Dinka, la intreccia come cintura e talismano, sempre portando su di sé lo spirito dell’amico. Che dei Dinka ci ha fatto conoscere una canzone. Tre vite, per l’esattezza, calcola il curatore professor Mauro Varotto.

L’infanzia infelice a Rovigo, finché quattordicenne si ricongiunge alla madre, Maddalena Miani, che a Venezia è “servente” di Pier Alvise Bragadin. Il nobiluomo è ìl padre che lo fa istruire, ma non lo legittima, e gli lascia non la la Ca’, ma “solo” 18.000 lire italiane. Capitale dilapidato in avventure amorose e soprattutto in un’impresa mai tentata prima: pubblicare La Storia universale della musica di tutte le nazioni. Il flop, corredato dal fiasco come cantante e compositore, segna la seconda fase della biografia, insieme all’ulteriore fallimentare tentativo di cercare la gloria sulle barricate del Quarantotto.

Per evitare il carcere, aiutato dall’aristocratico parentado massone, il rivoluzionario Miani abbandona dunque "l’amata patria". E finisce in Egitto. Terza stagione: "A 49 anni intraprende il primo viaggio (1859-1860) sul Nilo, fino al punto più lontano raggiunto da un europeo, nell’attuale Uganda. A pochi gradi dall’equatore e a un passo dall’impresa. La scoperta dello sbocco del Nilo Bianco dal lago Vittoria sarà ufficialmente attribuita poco dopo agli inglesi Speke e Grant. Sfortunata anche la traiettoria delle altre due spedizioni, dal punto di vista dei traguardi conseguiti. Ma brilla – conclude Varotto – per il modo in cui “il leone bianco” ha lottato per raggiungerli".

Solo un’ombra: un villaggio bruciato per vendetta. Osservatore, non predatore, Miani è il “reporter in prima linea” che l’ideatore della mostra, Sergio Campagnolo, vuole far ritrovare nei suoi Diari: "Vivida restituzione della quotidianità del mondo africano, lontanissimo dalle grazie dipinte dai vedutisti ottocenteschi (vedi Pasini e Guastalla). E sferzante denuncia dei traffici di avorio e schiavi, delle ipocrisie e dei soprusi del colonialismo. Al contrario, l’illustre viaggiatore figlio di padre incerto vuole essere degno di portare il nome di europeo".

 

 

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