Mercoledì 24 Aprile 2024

L’Euphoria (e il dolore) d’essere adolescenti

Torna domani la serie dedicata ai tormenti dei liceali americani. La Generazione Z al centro dell’attenzione anche di “Sex Education“

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di Barbara Berti

Cruda, violenta e magica come spesso lo è l’adolescenza. In una parola Euphoria, uno spaccato della società di oggi dove un gruppo di liceali americani è alle prese con tossicodipendenza e depressione, cyberbullismo e ossessione social, sesso e violenza. Nel 2019 la serie televisiva ha sconvolto i genitori di mezzo mondo rivelando loro i tormenti dei figli della Generazione Z. E, domani su Sky e Now, in contemporanea con gli Stati Uniti, arriva la seconda, attesissima stagione (dal 17 gennaio la versione doppiata in italiano, ogni lunedì dalle 23.15 su Sky Atlantic).

Realizzata dal regista Sam Levinson, che ha attinto all’esperienza personale adattando un format israeliano, la serie ha raccolto consensi ma sollevato critiche per la crudezza delle sue immagini; ha appassionato un pubblico di giovani adulti, rivoluzionato il genere “teen drama“ e fatto vincere a Zendaya – la venticinquenne attrice protagonista – un Emmy, stabilendo il record per la più giovane attrice in una serie drammatica, diventata la più richiesta e popolare del momento grazie anche a film come Spider Man, Malcolm & Marie e Dune.

Adesso l’attrice atatunitense torna nei panni di Rue Bennett, la diciasettenne con un disturbo ossessivo-compulsivo e dipendenza dalle droghe che deve capire quali sono i veri sentimenti che la legano alla sua amica e amante Jules (Hunter Shafer), ragazza transessuale romantica e ingenua. Nei nuovi otto episodi, Rue trova una "nuova persona preferita", un ragazzo stavolta anche se tra i liceali di Euphoria la differenze di genere non sono un argomento di discussione visto che i ragazzi vivono in modo fluido la sessualità. Inoltre, Rue affronta anche le discussioni con la madre e, a sorpresa, la fuga della sorellina minore, Gia.

Tra gli altri personaggi tornano Cassie (Sydney Sweeney), reduce dall’aborto del finale di prima stagione e ora in crisi di identità, Maddy Perez (Alexa Demie) e Kat Hernandez (Barbie Ferreira). La nuova stagione inizia la notte di Capodanno: nella città di East Highland, California, i liceali si ritrovano a una festa con musica, alcol, droga: dovrebbe essere un nuovo inizio ma tutti sembrano chiusi nelle proprie solitudini.

Il genere dei cosiddetti “teen drama“ sta assumendo una rilevanza crescente nel panorama della serialità contemporanea. Le angosce, i drammi, il sesso, le droghe e il mondo social, cioè un altro sguardo ravvicinato sull’adolescenza, si ritrovano anche in Sex Education, la serie visibile su Netflix, arrivata alla sua terza stagione. Già dal titolo, si capisce che il sesso è ben presente nella serie britannica creata da Laurie Nunn e diretta da Kate Herron e Ben Taylor. Ma la serie parla di sesso in modo privo di retorica, affrontando anche temi come l’aborto, l’omofobia, il bullismo, la disabilità e la continua battaglia degli adolescenti con i genitori (per chi li ha).

La serie parla di Otis (Asa Butterfield, il bambino dagli occhi blu di Hugo Cabret), un adolescente con le sue mille insicurezze, figlio di una psicoterapeuta specializzata in disturbi sessuali (Gillian Anderson, ovvero di Dana Scully di X-Files), che decide di diventare lo psicologo-sessuologo della sua scuola aiutando i compagni a navigare le prime, difficoltose, esperienze sessuali.

Il suo migliore amico? Un ragazzo gay di colore (Ncuti Gatwa); la ragazza che gli piace? Maeve (Emma Mickey), una ribelle con problemi familiari. Accanto a loro una schiera di liceali alle prese con la scoperta dei loro corpi e dei loro gusti, dubbi e problemi sessuali, tutte situazioni che la serie affronta con una delicata leggerezza.

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