Mercoledì 24 Aprile 2024

L’elettrochoc di Carrère: la follia e le mie bugie

In “Yoga” tutta la verità sulla sua depressione. "Ma confesso ai lettori: per la prima volta, per volere della mia ex moglie, ho mentito"

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di Chiara Di Clemente

"Su una tomba romana c’era scritto: non esistevo, sono esistito, non esisto più, cosa importa?": avevamo lasciato Emmanuel Carrère nel 2015, nel Regno in cui “investigava“ – da ex credente – sulla fede, sul Nuovo Testamento, seguendo le orme di Paolo di Tarso. Lo ritroviamo oggi ancora in cerca della condivisione, con il lettore, di un altro viaggio esistenziale che conduca – come nel Regno, come in Vite che non sono la mia – verso qualcosa che dia un senso alla vita, o aiuti a lenirne il dolore.

"Dopo il Romanzo russo, questo è il secondo libro davvero autobiografico che ho scritto – ha detto Emmanuel Carrère lunedì in un’intervista via Facebook –: sono entrambi libri che corrispondono a un periodo di crisi, di caos e cambiamento del ciclo della mia vita, ed entrambi partono in una direzione e approdano in un luogo completamente diverso. Io pensavo di scrivere un libro sereno e piacevole sullo yoga, e invece il libro è diventato molto meno sereno e piacevole. Spero sia comunque toccante, spero che i lettori, quantomeno alcuni, ci si possano riconoscere. Perché alla fine non si parla solo di yoga o solo di follia, ma della morte e anche della vita. Del desiderio di prendere le distanze rispetto alla propria vita, passioni e miserie; ma anche della necessità di confrontarsi con l’abisso delle nostre miserie psichiche e affettive, che possono assumere forme diverse, ma che di fatto ci accomunano tutti".

Il libro di Carrère Yoga è uscito lunedì in Italia (Adelphi), dopo i clamori suscitati nei mesi scorsi in Francia per la denuncia dell’ex moglie dello scrittore, che l’ha costretto a eliminare dal volume le parti che la riguardavano. "È semplice, e anche complicato" come ricorda Carrère in una delle tante citazioni (da Montaigne a Lenin, ma questa è del capitano Haddock di Tintin) che affollano il volume: semplice perché in pieno modello La vita come un romanzo russo (2007) o Vite che non sono la mia (2009) ci troviamo sotto gli occhi all’apparenza un memoir (autofiction) ovvero quel tipo di letteratura carrieriana che – come egli stesso scrive in Yoga – è "il luogo in cui non si mente". Solo che poi per la prima volta – per la prima volta apertamente – Carrère all’improvviso si contraddice ed esplicita: "Di questo libro non posso dire quello che con orgoglio ho detto di molti altri: è tutto vero".

"C’è una cosa particolare che caratterizza quest’opera – ha infatti spiegato lo scrittore nell’incontro Facebook di Adelphi lunedì – : sì, io dico che la letteratura è il luogo in cui non si mente. Non mi riferisco alla letteratura in generale, ma al tipo di letteratura che pratico io e che prevede questa sorta di contratto implicito che stringo con il lettore. In quest’opera però mi sono trovato a dover mettere in atto una deroga per delle ragioni che nel libro spiego in modo piuttosto evasivo, ma che sono legate lla richiesta molto esplicita della mia ex moglie di non voler apparire in alcun modo. È stato molto difficile per me: lei era un personaggio molto importante del periodo che racconto, per lei non avevo che sentimenti di rispetto e di tenerezza. Ma ho dovuto cancellarla. È stata una cosa che non mi era mai successa prima, l’ho dovuta fare per forza e i lettori lo devono sapere. Lo dico chiaro: di fatto ho mentito. Mentito per omissione. Introducendo nel libro una parte di finzione e modificando alcuni personaggi. Caratteristica che alla fine forse rende questo libro squilibrato. Un po’ zoppo".

Che sia tutto vero o non vero, zoppo o non zoppo, in Yoga lo scrittore affonda il coltello nella sua carne viva sia quando descrive la sua aspirazione, tramite la meditazione, alla serenità sia quando si inabissa nell’inferno della sua depressione, con ricovero in un ospedale psichiatrico, diagnosi di disturbo bipolare, sedute di elettrochoc (sotto anestesia ovviamente), terapia a base di litio. E commuove, sempre, poiché in tutte le esperienze narrate (vissute?) vi è sempre un riverbero, un rimando al voler sfiorare, toccare il senso dell’esistenza: "accogliere ciò che la vita ha di irritante invece di sfuggirlo", "cercare di sapere cosa significa essere gli altri", "essere un uomo buono e anziché sputare addosso al mio io narcisista vederlo bambino, consolarlo, piangere per lui e piangere con lui" scrive il Carrère meditante. "Perché non compio il bene che desidero ma il male che odio?", si chiede invece – ricordando l’amico San Paolo –, il Carrère sull’orlo della follia, il Carrère che giorno dopo giorno "continua a non morire".

Così, a poco a poco, la riflessione sulle contraddizioni (yin e yang, disturbi mentali) che rendono la vita impossibile da vivere e allo stesso tempo impossibile da non poter provare a vivere, diventa anche una riflessione sulla letteratura, sull’impossibilità che sia completamente vera, o completamente falsa. È Montaigne a guidare Carrère, su una frase di Ludwig Borne: "Scrivere tutto quello che ci balena in testa “senza snaturarlo“ è esattamente lo stesso che osservare il nostro respiro senza modificarlo. È impossibile. Eppure vale la pena provarci".

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