Lunedì 29 Aprile 2024

"Le mie luci spente si riaccesero a San Siro"

La musica, l’ispirazione, le parole: Roberto Vecchioni racconta le sue passioni e i suoi brani più celebri in un’autoantologia

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di Chiara Di Clemente

Come nasce una canzone? "È il momento, il periodo, l’incidente casuale, una frase, un oggetto, un’onda anomala, un piccione sul filo, un caffè versato al bar, una notizia in tv, quel bacillo infettivo insomma che viene a disordinare il tran tran quotidiano: perché l’ispirazione è un’infezione, stravolge la pacifica accidia della mente e la costringe a non pensare ad altro", spiega Roberto Vecchioni.

Scintilla n° 1 - 2011

Chiamami ancora amore

"Fu la frase di un portiere notturno che vedendomi giù di corda al ritorno in hotel mi disse: “Che c’è dda fa, professò, adda passà ’a nuttata”. In ascensore la frase di Eduardo De Filippo era già metafora, girando le chiavi nella porta mi chiedevo di cosa, tirando le tende ne intuii la disperata speranza e sul letto già mi sfilavano per la mente i volti di questa disperata speranza, bambini, studenti, soldati, poeti. Pensai a un verso per ognuno di loro, e ne pensai anche per chi di questa disperata speranza era colpevole, ma pensai anche che questa era una canzone d’amore e dovevo condividerla con chi amavo di più, mia moglie, la mia compagna: e si capovolse tutto, la disperata speranza diventò “speranza disperata”, non fermiamoci, non finisce qui, la scriveremo noi la fine. E da solo in quella stanza al buio in un albergo di Roma cantai ad alta voce con la prima melodia istintiva che mi venne da non so dove, che questa maledetta notte dovrà pur finire… All’alba la canzone era tutta lì". (...) "Il “maledetto buio” non è solo il buio di Berlusconi o della destra, è un buio esistenziale. E però l’importante è amarsi, tenersi per mano e prima o poi questo buio si diraderà".

Il libro Canzoni (Bompiani) di Massimo Germini e Paolo Jachia raccoglie, con le parole del prof, l’arte di Roberto Vecchioni. Prende una trentina dei suoi brani e di ciascuno narra la scintilla che gli ha dato la vita. Si delinea così l’intera poetica di uno dei maestri tra i nostri cantautori: cardini la verità e, laddove la verità "è così forte, così universale", il mito.

Canzoni è il diario dell’anima di un uomo che giovane, come l’Orfeo di Pavese, vede la luce dell’amore spegnersi, con la coscienza che non si riaccenderà più; ma adulto, come l’Orfeo di cui Roberto canta nella sua Euridice, pur con questo peso nel cuore, impara a guardare al futuro, a crederci di nuovo, a ripartire sempre. Nella "lunghissima tortuosa strada per incontrare Dio", quest’uomo impara che, pur misero, pur non eroe, può essere più forte del destino.

Scintilla n° 2 - 1977

Samarcanda

"Samarcanda è nata dopo il casello della Milano-Bologna e canta e pensa, pensa e canta a Fiorenzuola c’erano già il re, il soldato e la nera signora, a Reggio Emilia la forma di ballata e tutti quei benedetti controtempi, a Modena (Emilia, associazione d’idee?) partì d’un botto l’input, che non riuscivo a trovare (“ridere, ridere, ridere ancora”) e una frenata brusca a Bologna per non tamponare un imbranato mi tirò fuori quel “oh, oh” di sollievo che si legò al cavallo e diventò, a caso, il Leitmotiv, quel finale-fumetto, la frustata che mancava". Ancora: "L’idea di Samarcanda ce l’avevo da molti anni, ma la spinta a scriverla materialmente mi venne dalla morte di mio padre: è una favola, grottesca, sadica e cattiva" (e deriva da un romanzo Appointment in Samarra di John O’Hara). (…) "È una canzone che oggi non riscriverei. Ma da giovane, pensavo che il destino fosse più forte degli uomini".

In Canzoni, alla fine, c’è il diario di un uomo ma ci siamo anche noi, ciò che in noi è cresciuto ascoltando quest’uomo: perché, scrive il prof, "la canzone non ha l’ambizione d’essere arte. Vuole essere umanità, il più delle volte si limita a spargere fiori: non è la quercia, è il mandorlo".

Scintilla n° 3 - 1976

Velásquez

"Velásquez me la tengo addosso come un inno. Ma non è la solita scontata canzone di lotta politica dove “guardatemi, mi spezzo ma non mi piego”. Velásquez è una confessione di fallibilità, di debolezza umana, la fatica di seguire, io, piccolo uomo, l’eterna, epica battaglia per l’ideale. Volerlo ma non riuscirci perché ci sono affetti altrettanto forti da difendere", come la famiglia. (...) "La confessione di un uomo di sinistra che dice “io non ce la faccio ad essere un eroe“, cosa controcorrente negli anni ’70 in cui tutti si sentivano eroi rivoluzionari".

Scintilla numero 4 - 1971

Luci a San Siro

"La lacrima, la malinconia, la tristezza sono congeniali a quello che scrivo, già da Luci a San Siro. Anzi quello è l’archetipo: c’era dentro tutto, il non vendersi mai, l’amare fino allo spasimo… c’era dentro tutto quello che avrei cantato poi". E però Vecchioni precisa: "A 25 anni ho scritto “le luci di San Siro non si accenderanno più“, ora so che “le luci“ si spengono e si riaccendono, e che è questa la vita. Le luci più luminose sono quelle che hanno illuminato le mie ripartenze, tutte le volte che credevo che le luci fossero spente e invece a una a una si sono accese di nuovo. Le ripartenze sono sempre bellissime".

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