di Stefano Marchetti
"Promenade dominicale" è del 1932: due distinti signori in cappotto e tre eleganti dame, con cappellino e stola di volpe, conversano tranquillamente lungo la via. Ad appena vent’anni, Robert Doisneau li “colse“ così, da una finestra: nel riquadro compare anche il davanzale, come se l’immagine fosse stata “rubata“ al volo dal primo piano. "Era molto timido: a quell’età non si azzardava ad avvicinarsi alle persone – fa notare Gabriel Bauret, storico della fotografia –. Ed è incredibile, pensando al genere di immagini a cui poi si è dedicato". Già, perché Doisneau, insieme al suo grande amico Henry Cartier-Bresson, sarebbe diventato uno dei padri fondatori della fotografia umanista, quella che “parla“ della gente, della vita quotidiana, di uomini e donne, dei loro gesti e delle loro emozioni: i bambini e i loro giochi, la vita della periferia parigina e i pittori del lungoSenna, ma anche i bistrot, i cafè, le scenette divertenti e divertite. "Ho sempre cercato di mostrare un mondo dove mi sarei sentito bene e dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere", confidava. Il suo lavoro è un catalogo di momenti, di racconti, di piccole cose. Proprio come la vita.
Del suo lungo percorso, in particolare fra gli anni Trenta e Sessanta del secolo scorso, ci offre un ricco album la mostra promossa dalla Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo a Palazzo Roverella di Rovigo fino al 30 gennaio 2022: dai 450mila negativi custoditi dalle figlie del fotografo (scomparso nel 1994), il curatore Gabriel Bauret ha selezionato 134 scatti in bianco e nero, in altrettante stampe ai sali d’argento, anche in copie moderne realizzate da Hervé Hudry che fu lo sviluppatore personale di Doisneau. È come un viaggio lungo la biografia del fotografo che per quattro anni lavorò con la Renault, fu testimone della Liberazione di Parigi, divenne amico di Jacques Prévert e Robert Giraud, ma soprattutto seppe curiosare in quella "banlieue de Paris" che diede poi il titolo a una delle sue opere più famose, pubblicata nel 1949. "In queste foto traspaiono la dolcezza del suo sguardo, la malinconia, ma anche il suo impegno sociale – sottolinea Bauret – Doisneau rimase sempre vicino alle sue origini, quindi agli ambienti popolari da cui proveniva".
Nel teatro della strada, Doisneau si muoveva con delicatezza e disinvoltura, ma anche con l’astuzia di un prestigiatore. "Molte sue fotografie possono apparire come istantanee di momenti “qualunque“ – aggiunge il curatore – ma in realtà erano frutto di un attento lavoro di regia". Da un lato, Doisneau sapeva cogliere l’attimo fuggente come in un reportage, dall’altro lo metteva in scena. È accaduto così con la sua foto più famosa, il bacio davanti all’Hotel de Ville di Parigi, che ci appare come un coup d’oeil, un lampo dell’obiettivo, e invece venne accuratamente studiata e posata. Di certo Doisneau si dilettava anche a costruire situazioni bizzarre: nell’altrettanto celebre Fox terrier sul Pont des Arts del 1953 un passante guarda incuriosito un artista che dovrebbe ritrarre la Senna ma sta dipingendo una donna nuda, "ed è una foto completamente costruita – rivelò il fotografo –. Eravamo un bel gruppetto in un cafè, e con noi c’era una ragazza che il compagno pittore voleva ritrarre. Io gli suggerii di dipingerla nuda, per vedere come avrebbe reagito la gente".
Con lo stesso sorriso, Doisneau guardava i bambini: gli piacevano soprattutto gli ultimi della classe, quelli più spontanei, meno ingessati. "Disobbedienza e curiosità sono i due requisiti principali di questo mestiere", affermava. "Le fotografie che ritengo riuscite sono quelle aperte – diceva –, quelle che lasciano allo spettatore la possibilità di fare un pezzo di cammino con l’immagine. Una specie di trampolino del sogno".
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