Venerdì 17 Maggio 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Magazine

"La strage di Marzabotto, anima dell’Europa"

Nell’anniversario dell’eccidio nazifascista il monito di Mattarella. Ma la richiesta di giustizia dei superstiti è ancora osteggiata dalla Germania

"La strage di Marzabotto, anima dell’Europa"

"La strage di Marzabotto, anima dell’Europa"

Piero Calamandrei, in un famoso discorso a un gruppo di studenti medi e universitari, tenuto alla Società Umanitaria di Milano il 26 gennaio 1955, disse che la nostra Costituzione è "un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione".

A montagne, carceri e campi vanno aggiunti quei luoghi – e sono moltissimi – in cui migliaia di vite furono annientate senza alcun riguardo, e senza alcun rimorso. Sono i luoghi delle stragi nazifasciste: Monte Sole-Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema, Civitella in Val di Chiana e il Padule di Fucecchio, le Fosse Ardeatine e San Terenzo, Monchio e Vinca, per non citare che le più note. Luoghi segnati per sempre dall’orrore e dall’odio tipici di quella e forse di ogni guerra, ma anche luoghi della memoria, piccole capitali morali della Repubblica italiana. Capitali morali alle quali oggi si è spinti a tornare, almeno col pensiero, come suggerito da Calamandrei, per via delle tempeste che attraversano l’Italia e il resto d’Europa. La guerra è tornata a funestare il continente, senza che se ne intraveda la fine; i nazionalismi risorgono dal Baltico al Mediterraneo; le destre estreme, estranee alla tradizione antifascista, conquistano consensi e potere; l’Europa stessa, da spazio di pace e patria dei diritti umani, si è trasformata in una fortezza che abbandona e lascia morire migliaia di persone ai suoi confini. È una crisi politica e morale a un tempo, perciò sale il bisogno di di richiamare alla memoria pubblica quei luoghi che hanno dato senso e spessore ai princìpi fondativi delle democrazie europee.

È quanto ha fatto ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel 79° anniversario dell’inizio dell’eccidio di Monte Sole-Marzabotto (la strage, 770 vittime accertate, andò avanti fino al 5 ottobre 1944): "La memoria di questo eccidio – ha scritto in un messaggio – tra i più sanguinosi del Secondo conflitto mondiale, costituisce una delle pietre angolari della nostra Costituzione e dell’anima dell’Europa, basata sulla promessa di pace che i popoli e gli Stati del continente si sono scambiati dopo aver riconquistato la libertà".

È una memoria impegnativa, quella delle stragi, perché reclama la piena affermazione della dignità di ogni persona, in qualunque condizione personale si trovi, a qualunque nazione, ceto, cultura, comunità appartenga, e perché il ricordo delle circa 24mila persone, fra civili e partigiani, uccise in oltre cinquemila episodi, implica un impegno pieno, radicale, nel ripudio delle guerre, non per caso menzionato all’articolo 11 della Costituzione. Poi, però, ci sono la politica e la geopolitica, e così le affermazioni di principio, i pronunciamenti solenni, le promesse più alte entrano nel campo incerto delle valutazioni di opportunità.

Lo stesso eccidio di Monte Sole-Marzabotto è ancora oggi un fatto storico politicamente imbarazzante, in qualche modo irrisolto. La richiesta di giustizia di superstiti e familiari delle vittime è stata parzialmente soddisfatta dal processo al maggiore Walter Reder del 1951 e da quello istruito negli anni Duemila dal procuratore militare Marco De Paolis, chiuso con otto condanne all’ergastolo. Processi forse parziali e tardivi, segnati dai decenni persi per la illegittima “archiviazione provvisoria” di centinaia di fascicoli nel cosiddetto “armadio della vergogna”, ma pur sempre sentenze ottenute con rigore giuridico e grazie allo straordinario impegno personale degli inquirenti. Eppure gli ergastoli inflitti nel 2008 non sono mai stati eseguiti, in nessuna forma, perché la Germania si è rifiutata di recepirli, a dispetto di tutti gli accordi e le convenzioni internazionali.

Marco De Paolis, nel suo libro appena uscito Caccia ai nazisti (Rizzoli), riporta il testo della lettera che inviò l’8 maggio 2014 al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Era una summa del suo lavoro di oltre dieci anni, dei 17 processi celebrati, delle 57 condanne all’ergastolo, del senso di fiducia nella giustizia restituito a superstiti, familiari e concittadini delle vittime; ma era anche una lettera che esprimeva "un forte senso di disagio e una profonda amarezza" nel constatare l’ostruzionismo delle autorità tedesche, al punto, scriveva De Paolis, da far dubitare del "significato stesso della giurisdizione". Il procuratore militare chiedeva al presidente di "tenere in considerazione quanto esposto". Qualche giorno dopo il consigliere giuridico di Napolitano, il professor Carlo Guelfi, invitò De Paolis al Quirinale: si complimentò col magistrato militare, ma disse anche che la lettera non poteva avere risposta.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro