Mercoledì 24 Aprile 2024

La (prima) cosa bella di Campana è Sibilla

Trovate negli archivi due lettere inedite scritte in terza persona dal poeta di Marradi all’Aleramo: "Dino accetta tutto e aspetta"

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di Davide Rondoni

Un libro, un talismano. Una rosa, una ferita. Una fiammata, un bosco. Questo, e molto altro sono i Canti Orfici. Ora escono meravigliosamente stampati con allegate lettere inedite che fanno commuovere dalla cura tipografica di Enrico Tallone, erede e continuatore della famiglia di editori più raffinati d’Italia.

Alla sua proposta di accompagnare il talismano ferito con le mie povere pagine di introduzione non potevo dire di no.

Non solo perché una edizione simile, ma senza questi inediti che bruciano tra le dita, già era stata accompagnata quarant’anni fa da pagine di Mario Luzi, mio maestro e lettore acceso dalla medesima “conoscenza per ardore” campaniana. Ma anche perché a Campana occorre sempre tornare. Tornare perché la natura barbara e altissima della sua poesia ci porta dentro al cuore profondo, vero dell’Italia.

Tornare perché le sue visioni ci indicano che la realtà è accesa, se hai il cuore acceso.

Cosa aveva addosso questo ragazzo nato sui greppi, tra Romagna e Toscana, nel 1885 in una zona tanto bella quanto impervia, che si dichiarava “ultimo Germanico” in Italia, segnato da sofferenze ombrose della Psiche? Aveva la ricerca estrema della gioia. E parve a tratti trovarla in una donna bella e tremenda, Sibilla Aleramo, che lo amò ma non potè resistere in quel rapporto. In appendice a questa edizione dei Canti Orfici, si trovano due lettere e una cartolina inedita di Campana a Sibilla. In una, parlando in terza persona quasi a cercare distacco dal tormento, dice: “Dino non vuole nulla da Sibilla. Sa ormai considerarla come una cosa troppo bella. Ma accetta tutto da Sibilla. Ammette tutto e aspetta. Voglio che ci perdoniamo, così non può durare.”

Ma non conta la biografia del poeta, su cui il breve saggio di Gigliola Tallone getta uno sguardo di scorcio, illuminando la tenera preoccupazione verso Dino da parte di Eleonora, moglie del celebre pittore Cesare Tallone e madre di sette figli tra cui quell’Alberto che, anche grazie a una lettera di presentazione di Sibilla si avvierà a Parigi a diventare principe degli editori. Ci troviamo, grazie alle lettere e al breve saggio, a gettare uno sguardo pieno di pudore e di ammirazione in uno spazio dove si intrecciano solerzia per la salute di Dino, per lo stato di Sibilla, per il loro amore impossibile. Un circolo di donne buone, amiche, di amici di amici che diventano ospiti del poeta, lo accolgono, come nella casa che ancora è dietro alla villa-laboratorio dei Tallone a Melpignano.

Campana andava (come altri, da Neruda a Luzi, fino a noi) e stava ad ascoltare musica. Cercava quiete. E sapeva che lì la poesia era davvero amata.

Non la biografia dunque conta, insondabile sempre, ma la poesia, insondabile anch’essa fino in fondo - perché porta la traccia della vita- ma opera offerta sì a noi, ai nostri occhi e cuori.

I Canti Orfici, Canti come quelli di Leopardi, e poi di Pascoli.

Canti, perché la poesia è canto, voce che si accorda ai movimenti ineffabili del mistero del mondo. E Campana andò accordando la sua, tra boschi e città, tra viaggi visionari e reali. La sua arte, la sua scrittura sembra tesa a quel momento della materia e delle presenze, il momento in cui una forza di disfacimento e una forza di rivelazione coincidono. Un libro per collezionisti?

Certo, ma di più: un talismano.

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