Mercoledì 24 Aprile 2024

"Io, eterna sognatrice alla conquista di una luce ideale"

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La battaglia (vinta) di cui va più orgogliosa è l’aver ottenuto l’emendamento alla legge che fino al 1999 impediva ai ciechi con un lavoro di partecipare ai concorsi per un posto nei servizi pubblici. "Costringere un disabile a licenziarsi, senza avere la certezza di essere assunto dove ambiva, era un’ingiustizia che ho provato sulla mia pelle e che sono riuscita a evitare a tanti dopo di me".

Paola Persia, 76 anni, dal 1980 circa ha visto spegnersi definitivamente la luce intorno a sé, a causa di una retinite pigmentosa, lascito ereditario di due genitori che si sono sposati e hanno procreato pur essendo cugini, figli di due fratelli. "Infatti avevano entrambi lo stesso cognome". Il difficile cammino di una vita marchiata dalla nascita da un cortocircuito genetico l’ha ora riversata nella biografia ’Amare l’invisibile’ scritto per Bertoni Editore. "Ma che è servito soprattutto a me per pacificarmi col mio passato. Il titolo esprime forse un concetto assurdo, ma per me è stato un traguardo di conoscenza, di presa di coscienza, di messa a fuoco delle risorse che comunque la vita mi ha regalato facendomi sempre trovare delle soluzioni che la rendessero meno precaria e mi consentissero di realizzare, magari in tono minore, i sogni che nutrivo".

Che sentimento provava per i suoi genitori?

"Sono diventata psicoterapeuta anche per capire meglio i tabù che vigevano in famiglia. Mia madre, molto cattolica, era assalita dai sensi di colpa per l’ombra dell’incesto che aleggiava, che invece mio padre rimuoveva dicendo a destra e a manca che aveva potuto sposarsi grazie a una dispensa vescovile che aveva pagato. Io mi sono costruita un mondo distrutto e il romanzo racconta, tutto sommato, di una formazione, ovvero dell’adattamento a un corpo che è via via cambiato".

Quando ha scoperto le prime avvisaglie?

"Fu mia madre a portarmi dall’oculista perchè per vedere avvicinavo gli oggetti agli occhi in maniera innaturale e lì è emersa la degenerazione retinica che non ha modificato l’aspetto esteriore del mio sguardo, quindi ha ulteriormente alimentato tabù e negazione dell’evidenza, ma a sedici anni ho voluto sapere la verità e lì si è innescata la depressione. Nello stesso tempo per meritare l’amore di mia madre, le ubbidivo con sottomissione. Solo sul letto di morte si è scusata per l’inferno che la sua vita sentimentale aveva scatenato su di me ma mi ha anche stretto le mani dicendomi: “Noi non ci arrendiamo mai, vero?“. E anche quella è stata un’eredità, importante e pesante al tempo stesso".

Come ha influito il suo handicap sulla professione e viceversa?

"La scelta iniziale è stata superficiale: non c’erano psicoterapeuti non vedenti. Ma poi è emersa tutta la disperazione per cui avevo deciso di conoscermi e andando fino in fondo a me stessa, ho trovato ovviamente anche le risorse per aiutare gli altri. La mia salvezza però è sempre stata l’anima bambina che mi ha consentito di rimanere un’eterna sognatrice, di farmi distrarre da una vita che di esche me ne ha comunque regalate".

Tipo recitare per Pupi Avati...

"Aveva girato ’Il cuore altrove’ con Vanessa Incontrada che faceva Angela, una non vedente. Io che avevo tentato invano di frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia ed ero stata malamente cacciata da Giorgio Bassani che vedendomi leggere un testo a distanza ravvicinata mi sconsigliò di sottopormi allo stress visivo delle luci di un set, lo raggiunsi in un teatro e mi ingaggiò per una piccola parte ne ’Il cuore grande delle ragazze’. Confesso che balbettavo ma lui mi mise a mio agio".

E la scrittura quando entra nella sua vita?

"Qualcuno mi ha ricordato che a scuola da piccola ero brava a scrivere temi. Ma scrivere è stato più impegnativo che recitare. Ci ho messo tre anni a ultimare questo romanzo anche se mi ha condotto un’impellenza profonda. E’ stato un processo di pacificazione doloroso ma che ha potuto soffermarsi anche sui regali inaspettati che ho avuto come il figlio che non dovevo avere e invece è stato un dono nonostante la gravidanza difficile e gli incubi che l’hanno accompagnata".

Lorella Bolelli

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