Chiara
Di Clemente
Sanremo è avvertito: la prima semifinale dell’Eurovision martedì sera su Raiuno in diretta da Torino ha fatto il 27% di share finendo a un’ora normale, le 23 o giù di lì. Di una gara musicale si tratta, e quella è stata: un concorrente dietro l’altro, nel primo blocco di show; gli ospiti – pochissimi e ricordabili, come Diodato – nella seconda parte; al di fuori delle esibizioni nessun fronzolo tanto che l’omaggio alla Carrà si è risolto, pure tra le ire dei Raffa-ultrà, in mezzo minuto. Grande spettacolarità curata nei dettagli per ogni set dei 17 concorrenti, nessuno di loro – arrivato fin lì dalla Lituania come dall’Armenia – costretto al passaggio tv col coro dei galli all’alba fuori dal PalaOlimpico, tutti messi in condizione di gareggiare alla pari nel giro dello stesso arco temporale ridotto all’essenziale. Così come è tenuta saldamente nei limiti dello stretto necessario l’espansione dell’ego (spesso altrimenti straripante) dei conduttori superstar.
Alla fine per avere successo con una gara musicale su Raiuno ci vuole poi così tanto? Sì, ci vuole un’organizzazione magistrale. Ma il risultato – oltre all’ottimo share – è anche il rispetto per il pubblico a casa e per gli artisti sul palco. Forse vale la pena provarci anche all’Ariston, visto che molte delle peculiarità dell’Eurovision sono già state ampiamente riciclate dall’ultimo Festival di Amadeus, a partire dalla vocazione pacifista e inclusiva che per l’Eurovision è un retaggio antico ma che oggi è istanza e sentimento fondante delle nuove generazioni. A Sanremo il primo passo – quello queer – è già stato fatto. Manca il secondo: che lo show sia la gara musicale, serrata e spettacolare. Ma soprattutto, che finisca a un’ora decente.