Domenica 5 Maggio 2024

Il supereroe capitalista: Iron Man fa 60

Nel marzo 1963 Stan Lee lanciava il miliardario di ferro Tony Stark, egocentrico e arrogante. Ma, nonostante tutto, immortale

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Egocentrico, donnaiolo, arrogante, erede di un impero economico basato sulla vendita di armi. A chi potrebbe mai stare simpatico Tony Stark? Una sfida che solo Stan Lee poteva raccogliere, quando nel marzo del 1963 creò Iron Man, ennesimo supereroe Marvel destinato – decenni dopo – a essere il volto della rinascita cinematografica della Casa delle Idee. Lee aveva sviluppato da tempo l’idea di un “supereroe imprenditore”, che rappresentasse la “quintessenza del capitalista”. Come modello aveva pensato al magnate Howard Hughes. L’esordio avvenne su Tales of Suspense #39, testi di Lee e del fratello Larry Lieber, con i disegni di Don Heck e Jack Kirby.

Il piccolo Tony è un bambino prodigio, trovato dallo Shield (i “servizi segreti“ della Marvel) in Bulgaria e adottato dalla famiglia del magnate dell’industria bellica Howard Stark. A 15 anni va a studiare al Mit di Boston, a 21 perde i genitori in un (sospetto) incidente stradale. Ritroviamo Tony in Vietnam, nelle mani di un signore della guerra e gravemente ferito dall’esplosione di una mina: alcune schegge si sono conficcate a pochi centimetri dal cuore, e la sua vita è appesa a un filo. Il suo compagno di prigionia è uno scienziato, costruisce una piastra magnetica e gliela impianta nel petto, in modo da rallentare l’avanzamento delle schegge. Facendo credere ai loro carcerieri di lavorare a una nuova arma, i due progettano un esoscheletro di metallo, grezzo e molto simile a un robot, con cui Tony riuscirà a scappare.

Le prime avventure di Iron Man sono impregnate del sentimento anticomunista derivante dalla Guerra Fredda: cavaliere hi-tech, nella sua armatura rossa e oro (il design “classico“ è di Steve Ditko, ma sarà continuamente attualizzato) affronta i nemici del mondo occidentale – tra cui spiccano il suo omologo russo, la Dynamo Cremisi e il letale Mandarino – e guida i Vendicatori (nati alcuni mesi dopo, sempre nel 1963). Fedele all’intuizione “supereroi con superproblemi“ alla base dei suoi più riusciti personaggi, Stan Lee si concentra ben presto sull’uomo più che sulla “macchina“.

Iron Man, infatti, deve affrontare un nemico ben più insidioso: l’alcolismo. Celebre la storia Il demone nella bottiglia (1979) di David Michelinie, Bob Layton e John Romita Jr., in cui Tony affronta la sua dipendenza, combattendo contro i propri fantasmi. Oltre al senso di colpa per le conseguenze delle armi che, in passato, ha contribuito a creare, il multimiliardario – ora “pacifista“ – è convinto che il fine giustifichi i mezzi, e questo lo porterà spesso a manipolare anche i propri colleghi, scontrandosi con quelli più integerrimi, a partire da Capitan America. In Civil War (2006), spaccherà a metà la comunità superumana: la storyline è stata ripresa dall’omonimo film del crociato a stelle e strisce (nel 2016).

Il riferimento non è casuale: da sempre un gradino sotto gli eroi più amati, Iron Man spicca il volo nell’immaginario pop con il primo film, del 2008. Allora, la Casa delle idee non se la passava benissimo, ma decise di investire tutto sul regista Jon Favreau e su un attore in cerca di rivincite, Robert Downey Jr., la cui carriera era finita in un buco nero, in un turbinio di eccessi, tra arresti, droga e alcol (coincidenze?).

La scommessa viene vinta su tutta la linea: a 15 anni di distanza, gli incassi dei cinecomics sono in testa a tutte le classifiche (Cameron permettendo), e i fan possono gustarsi un universo coerente, dove ogni nuova pellicola o serie tv è incastonata in una continuity (più o meno) rigorosa. E Downey Jr. ha visto rilanciata la sua carriera, concludendo in modo eroico il suo viaggio insieme a Tony Stark nel pirotecnico e commovente finale di Avengers: Endgame. Sempre che il Multiverso non ci metta lo zampino e lo riporti tra noi in un prossimo film.

 

 

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