Venerdì 26 Aprile 2024

"Il nuovo Candido è schiavo di un algoritmo"

Fra Voltaire e la pandemia: nel romanzo di Guido Maria Brera il “rider“ è il perno di un mondo alienato. "Attenti, la classe media è come lui"

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di Davide

Nitrosi

Candido pedala. Candido è il rider, il ragazzo che porta i pasti in bici sfidando traffico e smog, è la classe media umiliata dalla globalizzazione, è nostro figlio sfruttato dal lavoretto, un ragazzo già disilluso che si rifugia nell’isolazionismo digitale. "Ce l’avevo in testa da tanti anni la storia di Candido. Poi ho avuto un’illuminazione: il rider", confessa Guido Maria Brera, 51 anni, dirigente d’azienda e scrittore, autore assieme al collettivo I Diavoli, di Candido, appunto, libro appena uscito per La nave di Teseo. Gli ingredienti sono un pendolo che oscilla tra il racconto filosofico e la denuncia sociale, tra il classico di Voltaire e un presente amplificato. Una Milano innominata, una città post pandemia divisa fra inclusi ed esclusi, un rider senza diritti, il Pangloss (il precettore) trasformato in un algoritmo tecnologico. Un mondo distopico, angosciante, virtualmente modificato.

Brera, il suo rider pedala in un futuro immaginario?

"Eh no, non voglio che si scambi questo libro per pura fantascienza, perché è la realtà fra cinque minuti. Prenda il caso dei crediti sociali che il rider ottiene dall’algoritmo Voltaire. Non è fantascienza, in Cina esistono già. Se passi col rosso ti levano i crediti social. Il mutuo, un prestito, dipendono dal tuo rating social".

Altro che il migliore dei mondi possibili.

"Lavorando nella finanza ho sentito spesso la retorica del migliore dei mondi possibili. La narrativa entusiasta: sei imprenditore di te stesso, ci devi credere, “stay hungry stay foolish“, devi fare l’imprenditore perché la libertà è decidere il tuo destino... Certo, tutto bellissimo...".

E invece?

"Clinton nel ’99 disse che tutti dovevano avere una casa e la Fed prestò soldi a tutti. Otto anni dopo la casa gliela levarono: nessuno restituiva i prestiti".

E dire che l’Occidente era il mondo del welfare e dei diritti. Cosa ci è successo?

"Hanno smantellato con una narrativa infida le conquiste sociali degli ultimi cento anni. E la destrutturazione del lavoro ha destrutturato anche la sinistra".

Alla fine siamo diventati tutti Candido?

"Candido è la classe media, i giovani con un futuro incerto. Il rider è la punta dell’iceberg di questo dispositivo. Lo vediamo tutti i giorni, lo utilizziamo come un oggetto. Candido è l’emblema di chi ci ha creduto ed è finito in una trappola, nel mondo dei diseguali".

Non c’è più neppure il marxismo a sovvertire la società...

"Esatto. Però la luce in fondo al tunnel comincio a vederla. La pandemia ha fatto l’autopsia di una società malata, di un modello di globalizzazione morto. Non si parla più di austerity ma di neo keynesismo, di ricostruire con gli aiuti pubblici, dello Stato che accompagna l’impresa. Questa è una luce".

Una svolta politica?

"Purtroppo tra i primi che lo hanno capito non sono state le sinistre, ma Trump e quel movimento che ha intercettato l’armata degli invisibili distrutta dalla globalizzazione feroce e l’ha spinta a votare per le sue idee. La sinistra tradizionale si è persa nel ‘quanto è fica la tecnologia’. Era fico farsi consegnare le pizze a casa".

Candido è un ingenuo, crede che l’obbedienza paghi. Per fortuna che ho un lavoro, pazienza i diritti. Come i rider?

"I rider sono stati a lungo soli, cani sciolti in una fase drammatica di crisi e con un’immigrazione di massa che ha compresso il costo del lavoro. Vittime di un lockdown perfetto. Nessuno lo dice, per questo l’ho scritto. Oggi per organizzarsi dovrebbero riappropriarsi dell’algoritmo e cooperare tra loro".

L’insoddisfazione ci salverà?

"Sì, perché alla fine con l’insoddisfazione rivendichi il diritto all’utopia, ai sogni, ti sottrai al dispositivo di potere e abbracci l’Orto (citazione dal Candide di Voltaire, ndr) che è la conoscenza, e che io rappresento con la libreria".

Nel suo racconto i social sono il sollievo momentaneo.

"Sono la nuova droga. In questo libro abbiamo narrato quello che esiste nel mondo. Un lavoro difficile, pesante. Volevamo tenere i paletti di Voltaire ma inserire anche la realtà di oggi. Raccontare cosa non funziona nel mondo, vedere intere generazioni che non hanno futuro, che vivono in un mondo distopico, tocca la coscienza di tutti. Nessuno è un’isola. Io ho sempre lavorato nella finanza ma non ho mai investito in algoritmi".

Perché un libro scritto da un collettivo?

"In ogni riga ci sono riferimenti alla contemporaneità. E non si può raccontare per sentito dire. Nel collettivo ad esempio c’è uno dei più importanti sinologi italiani, per raccontare hai bisogno di uno che conosca bene ciò che accade in Cina. È un lavoro complesso. Siamo in sette, sei uomini e purtroppo solo una donna".

C’è un rider nel collettivo?

"No, nessun rider... Ma ho parlato con molti di loro per il libro".

Immagino abbia interrogato i ragazzi che portano la pizza...

"No! Anzi, ho usato molto poco i rider anche se oggi va di moda. L’altra sera mia figlia mi dice: papà ho ordinato una cosa e ce la portano a casa... Ma come ti viene in mente, le dico".

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