Il genio italiano che sognò una nave con le ali

Il 12 febbraio 1921 prendeva il volo il gigantesco Ca. 60 inventato da Gianni Caproni: avrebbe dovuto attraversare l’Atlantico

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di Andrea Cionci

Una “nave con le ali” capace di attraversare l’Atlantico: il sogno del genio dell’aeronautica Gianni Caproni (Massone, Trento 1886- Roma 1957) compiva il primo volo cento anni fa sulle acque del Lago Maggiore.

Un progetto visionario e, soprattutto, mastodontico: alto più di 9 metri, l’idrovolante “Transaereo Ca. 60” aveva 9 ali larghe ben 30 metri in architettura triplana – come per i bombardieri già prodotti dall’azienda Caproni durante la Grande Guerra – collocate sopra una fusoliera lunga 23 metri e capace di trasportare 100 persone.

Per sicurezza, il progettista aveva dotato il “Capronissimo” – come venne ribattezzato dalla stampa – di ben otto motori a “V” Liberty L 12, i più potenti del dopoguerra: quattro davanti, con elica trattiva, quattro posteriori con elica spingente. Il galleggiante principale era costituito dalla stessa carlinga, sostenuta da altri due scafi più piccoli progettati da Alessandro Guidoni, il generale della Regia Aeronautica, mago degli idrovolanti, cui è intitolata Guidonia Montecelio. (In quella località, infatti, Guidoni si schiantò al suolo per aver collaudato di persona un nuovo paracadute, purtroppo difettoso).

In effetti, la prima trasvolata atlantica era stata eseguita con successo da Brown e Alcock nel 1919, con il bombardiere Vickers Vimy carico di carburante fino all’inverosimile, ma l’obiettivo di Caproni, fin dal 1913, era quello di arrivare al volo transoceanico commerciale.

Non era il momento adatto, tuttavia: l’industria aeronautica non era così affermata per poter affrontare investimenti del genere a guerra appena finita, una volta crollate le commesse militari. Nonostante vari inconvenienti, il 12 febbraio 1921, il Transaereo si librò per la prima volta in volo: alla cloche vi era l’ex pilota militare Federico Semprini che, anni prima, con un bombardiere Caproni aveva effettuato il “giro della morte”. L’aereo, zavorrato con 300 kg raggiunse gli 80 kmh e si dimostrò stabile e docile alla manovra.

Il secondo volo ebbe luogo il 4 marzo ma, mentre l’idrovolante si staccava dal Lago Maggiore in assetto fortemente cabrato, la coda sbatté sull’acqua portando a schiantarsi anche la prua e il primo gruppo alare. (Parti dell’aereo sono oggi conservate presso il Museo Caproni di Trento). Tra le cause possibili del disastro, l’interferenza della scia di un piroscafo, un errore del pilota – che, pure, riuscì a salvarsi – o la zavorra non fissata nella carlinga.

Caproni, giunto in ritardo alla dimostrazione per un problema di carburante alla sua auto, ebbe a commentare: "Così il frutto di anni di lavoro, un aereo che avrebbe dovuto porre le basi dell’aviazione del futuro, tutto perso in un momento! Ma non si può lasciarsi prendere dallo sconcerto se si vuole andare avanti". Da questa frase si comprende il tipo d’uomo che, insieme ai fratelli Wright, è considerato il padre dell’aeronautica mondiale, tanto che sia Roosevelt che Truman tenevano appesa la sua foto nel Gabinetto presidenziale.

Infatti, l’aereo successivo, progettato da Caproni insieme a Rodolfo Verduzio e Umberto Nobile sarebbe stato vincente: il bombardiere Ca. 73, primo aereo italiano con struttura metallica utilizzato dalla nostra Aeronautica fino al 1934, soprattutto in Africa settentrionale, per essere poi sostituito dal trimotore Ca. 101.

Nel 1940, il Re nominò Gianni Caproni conte di Taliedo, assegnandogli uno stemma evocativo: un’aquila che trasporta nel cielo stellato un ariete, sotto un cimiero composto da una cuffia d’aviatore alata e completato dal motto: "Senza cozzar dirocco".

L’epopea dell’azienda si sarebbe chiusa nel 1950, dopo oltre quarant’anni di attività, e la produzione di una infinità di progetti non solo per l’aeronautica, ma anche per il motociclismo, la nautica e il trasporto urbano. Eppure, di tanta gloria è rimasto poco nella cultura collettiva nazionale. Perché?

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