Venerdì 10 Maggio 2024
PIER FERDINANDO CASINI
Magazine

Il cardinale Tonini, anticipatore di Francesco

Ricordata a Ravenna la figura del teologo e arcivescovo della città. Seppe scegliere la solidarietà coi più deboli unendo fede e azione

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La figura del cardinale Ersilio Tonini va al di là dei ristretti confini in cui si è sviluppata la sua azione pastorale per spaziare sugli ampi scenari della sua epoca. Nato nella campagna piacentina da una famiglia contadina, entrò in seminario a 11 anni e a soli 22 venne ordinato prete. Nominato vescovo da Paolo VI nel 1969, servì a Macerata e Tolentino poi, dal 1975, a Ravenna. Quando ci ha lasciati, nove anni fa, era il più anziano porporato vivente.

Tonini seppe intercettare problematiche emergenti e divisive in un’epoca storica di grande rinnovamento della Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II. I mutamenti sociali ed economici stavano modificando la tradizionale impostazione cattolica della gente, specie dei ceti agricoli e operai, aprendo nuovi orizzonti e aspettative. Egli seppe farsi interprete di una Chiesa capace di raccogliere su di sé il vissuto delle persone accompagnandole, con semplicità e modestia, ad affrontare nuove emergenze e nuove sfide e a relazionarsi con i grandi temi della modernità.

Uomo coltissimo, fine teologo, la sua passione per gli uomini lo ha sempre portato a confrontarsi con umiltà con le cronache dei giornali, a cogliere i segni della storia che avanza e dei problemi concreti del suo tempo e a compiere scelte di solidarietà verso i più deboli, ascoltando con attenzione e fino in fondo le esigenze di coloro che fanno parte di una comunità, entrando direttamente in contatto con le loro storie di sofferenza e di dolore. E quel che rende ancora oggi viva e straordinaria la sua testimonianza sta forse proprio nella sua capacità di compenetrare la dimensione della fede con quella dell’azione.

Ne abbiamo la riprova in alcuni gesti, densi di significato, da cui possiamo riconoscere con immediatezza i tratti essenziali della sua persona. Quando al suo primo incarico come vescovo di Macerata appoggiò una coraggiosissima riforma agraria consegnando le terre della diocesi ai contadini; quando nel 1975, appena arrivato a Ravenna, lasciò il suo appartamento di arcivescovo ad una comunità di tossicodipendenti scegliendo come proprio alloggio l’opera di Santa Teresa (una scelta che all’epoca non tutti condivisero nel timore che venissero minati il prestigio e l’autorevolezza del nuovo arcivescovo che invece si sentiva e volle rimanere sempre un semplice prete di campagna); e quando, nel 1987 indisse una campagna di solidarietà in favore di alcune popolazioni del Brasile che rischiavano di vedersi espropriate le proprie terre.

In quegli anni il cardinal Tonini seppe anche instaurare un dialogo proficuo con gli enti locali, incontrando spesso il mondo delle banche di Credito Cooperativo e delle casse rurali, nella convinzione che i problemi connessi all’emarginazione sociale avrebbero potuto essere fronteggiati adeguatamente solo con un concerto di forze e solo ponendo al centro la persona e la sua dignità.

È stato un “pacificatore provocante” – come lo definì nel giorno delle sue esequie monsignor Lorenzo Ghizzoni. E questo perché le sue provocazioni erano le provocazioni del bene, quelle che interrogano la coscienza di tutti – credenti e non – sul senso profondo dell’esistenza e sui valori che ne costituiscono la sostanza vera, sui quali non si possono ammettere cedimenti o compromessi.

Chi lo ascoltava non poteva non cogliere nelle sue parole la genuinità del messaggio cristiano. Per molti anni è stato una guida per i cattolici su temi cruciali: custode intransigente nella difesa della dottrina della Chiesa, ma accogliente verso tutte le opinioni anche le più distanti tanto da conquistarsi l’affetto sincero di tutti, laici e credenti, senza dubbio una delle voci della Chiesa più apprezzate dagli italiani. (...)

Spesso si è scagliato contro i politici. Aveva denunciato la corruzione dilagante durante l’epoca di Mani pulite e non si era sottratto alla difesa dell’amico Enzo Biagi quando venne cacciato dalla Rai col famoso “editto bulgaro”. Chi come me lo ha incontrato più volte ne ha sempre colto un’apertura umana così spontanea e profonda da capire che dietro le sue parole altro non c’era che il richiamo sofferto del Pastore alle sue pecore. (...)

Se potessi dare di lui una definizione finale direi che a pieno titolo è stato, per caratteristiche personali e impronta di vita, un anticipatore di papa Francesco e del suo pontificato. Un uomo buono e misericordioso che, poco prima di lasciarci, ci ha voluto far dono di un ultimo potente monito: "Voletevi bene, io devo tornare dal padre mio".

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