Giovedì 25 Aprile 2024

I cannibali di Guadagnino salvano l’Italia

Giurati divisi e la sorpresa di “All the Beauty“. Trionfatrice morale la Diop, il nostro regista fa centro con una storia giovane ed estrema

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di Andrea Martini

Luca Guadagnino salva il cinema italiano, pluripresente nel Concorso a dispetto di una qualità non eccelsa: ma fino che punto è italiano Fino all’osso? Il Leone d’Oro è stato assegnato, dalla giuria presieduta da Julianne Moore, a All the Beauty, un film no fiction. Negare che sia una sorpresa sarebbe incongruo. Ma non è del tutto una brutta sorpresa, anche se ha il sapore di un probabile compromesso (come ha pubblicamente ammesso la stessa presidentessa) tra divergenti opinioni dei bellicosi membri.

La regista Laura Poitras è un premio Oscar (2015, per Citizenfour sul controverso caso Edward Snowden), ha una carriera tra le più prestigiose e il suo documentario appartiene al genere narrativo, quello che può legare lo spettatore alla sedia come un thriller o una commedia. La protagonista del film è la fotografa americana Nan Goldin: artista innovativa, capace di mettere insieme i generi più disparati, spesso vicina agli artisti ribelli della New York trasgressiva. Laura Poitras nel ripercorrerne la vita turbolenta e la carriera sfolgorante si sofferma su la sua lunga battaglia contro la famiglia Sackler, benefattrice dei più grandi musei del mondo, ma anche produttrice di un farmaco oppiaceo responsabile di migliaia di morti per overdose. Il film ha una distribuzione italiana, la I Wonder, e uscirà nelle nostre sale.

Tutti gli altri premi rispondono a una logica del tutto condivisibile, l’unica in grado di rispondere a una selezione non troppo fortunata, senza cadute ma anche senza vette. Ne esce ingigantita la figura della debuttante Alice Diop, forse la trionfatrice morale: al premio scontato per l’opera prima si aggiunge il Gran Premio della Giuria (ciò fa trapelare che il Leone le è sfuggito per poco): la forza trascinante della sua Medea infanticida ha colpito i giurati, come già critici e pubblico. Quel processo che diventa teatro nasconde un dominio del mezzo cinematografico che raramente le opere prime possiedono. Saint Omer è stata forse l’unica scelta coraggiosa di una selezione timorosa.

Giustamente è stata premiata la regia di Luca Guadagnino, un cineasta dotato ma spesso eccessivo, ridondante. In Fino all’osso il suo senso della misura, dato un soggetto pericoloso come l’antropofagismo, è determinante per rendere credibile il desiderio di vivere e di amarsi nell’alterità dei due giovani protagonisti. Opportuno anche il premio Mastroianni per Taylor Russell, la cui sicurezza nel difficile ruolo era impossibile non notare. Praticamente già assegnata in partenza la coppa Volpi per Cate Blanchett, senza la quale il ritratto della direttrice d’orchestra non sarebbe stato credibile e ben calibrata quella per Colin Farrell, anche se forse sarebbe stato plausibile dividerla ex aequo con il suo partner in Gli spiriti dell’isola, Brendan Gleeson.

Il film di McDonagh poteva aspirare anche al massimo premio: il suo senso del tragicomico ha radici profonde e nobili, il suo cinema è fonte continua di sorpresa e di stupore. È scritto con una precisione letteraria tale che ad ogni immagine sembra di sfogliare una pagina. A nessun altro poteva andare il premio alla sceneggiatura.

Resta il caso dell’iraniano Jafar Panahi. Fino a ieri mattina dato per vincitore per (nobili) motivi cinepolitici. È un grande regista, già Leone d’Oro per Il Cerchio nel 2000, che ormai da molti anni gira film in modo clandestino. Gli orsi non esistono affascina perché lo mostra al lavoro mentre dalle montagne del suo paese dirige, a distanza, un film il cui set si trova in Turchia. Il premio speciale della giuria gli calza perfettamente.

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