Giovedì 25 Aprile 2024

Grohl tra di noi: "Che amicizia incredibile"

Il leader dei Foo Fighters presenta ’Medicine at Midnight’, il nuovo album: "È nato per far ballare la gente sotto il palco. E lo porto a Milano"

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di Andrea Spinelli

Il quartier generale dei Foo Fighters è un capannone della San Ferdinando Valley con uffici disseminati di riconoscimenti incassati da Dave Grohl in 35 anni di carriera dilagando dagli Scream ai Nirvana, dagli Harlingtox A.D. ai Them Crooked Vultures, Queens of the Stone Age, Tenacious D e molti altri ancora. Ed è proprio da lì che il leader dei Foos compare sullo schermo per parlare della nuova fatica Medicine at Midnight che arriva dopo un anno di stop forzato. Giura di averlo registrato come “party album”, uno di quei dischi nati per far ballare i fan sotto al palco, e spera di darlo in pasto il 12 giugno al popolo dell’I-Days di Milano.

Dave, com’è iniziata?

"Medicine at midnight è il nostro decimo album e avremmo voluto pubblicarlo nel 2020 per festeggiare degnamente il 25° anniversario della band. Un evento per il quale avevamo in programma due anni di tour. Lavorandoci, infatti, c’eravamo detti: ’fanculo la pensione, facciamo un disco pieno di groove per scatenare le folle, finiamo tutto a gennaio e torniamo sulla strada. Purtroppo, le cose sono andate diversamente".

Vi è rimasto il live-streaming.

"Già. Anche se l’idea di suonare in rete lì per lì non m’ha fatto fare salti di gioia. Pensavo fosse un’idea sbagliata, il live è un momento di condivisione in cui l’interazione col pubblico è tutto. Poi, però, mi sono reso conto anche che il mestiere del musicista è quello di arrivare alla gente, trovare un contatto, e m’è piaciuto".

Gli Stati Uniti stanno riemergendo da settimane difficili.

"Chiunque a Washington si aspettava quello è successo un mese fa a Capitol Hill; l’atto finale di una deriva catastrofica. Siamo in una situazione tragica, ma non credo senza speranza".

Tant’è che ha suonato all’insediamento di Biden.

"Penso che la mia scelta di non impegnarmi in politica sia una reazione alla fede repubblicana di mio padre, prima giornalista e poi speech writer, autore di discorsi per i politici. Quando scrivo canzoni non sono spinto da un intento politico, perché preferisco suscitare domande che dare risposte, ma poi ognuno può leggerci quel che crede. Eseguire Times like these alla cerimonia d’insediamento del nuovo Presidente credo abbia avuto un significato".

L’Italia rimane un porto sicuro per i Foo Fighters.

"Quella di Rockin’ 1000, con Fabio Zaffagnini sei anni fa a Cesena, è stata un’esperienza incredibile. Anche se il mio rapporto con l’Italia dura ormai da una trentina d’anni. Ci sono venuto per la prima volta con gli Scream. Suonavamo punk rock e andavamo forte... nel senso che ci esibivamo per 100 persone: al Forte Prenestino di Roma e al Leoncavallo di Milano, a Torino, Pisa, Bologna, stringendo amicizie rimaste nei decenni. Ne ho parlato pure in un documentario a episodi su Netflix, intitolato Sonic highways: a quel tempo c’era un grande senso di comunità nella scena punk, ci si aiutava l’un l’altro, non si pensava tanto alla carriera quanto casomai ad impressionare gli amici".

Oggi le cose stanno diversamente.

"Proviamo ancora tutti in una stanzetta come ai tempi degli Scream. È quando esci che la situazione si fa diversa".

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