Giovedì 25 Aprile 2024

Golino, 55 anni: "Ma non sono contenta di me"

L’attrice presenta “Fortuna” sulla bimba uccisa a Caivano. "Lavoro tanto, però mi sento opaca. E odio che il cinema sia diventato superfluo"

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È uno dei volti più noti e amati del nostro cinema. Attrice di grande fascino e carisma, Valeria Golino è una delle ancora poche donne arrivate con successo anche alla regia (Miele, Euforia). Una straordinaria carriera costellata da tanti premi (due Coppe Volpi a Venezia: ’86 e 2015) tutta dedicata al cinema, passando pure per i grandi successi di Hollywood. Niente teatro e niente tv. Finora. Perché adesso sta curando l’adattamento del libro di Goliarda Sapienza (1924-1996) 'L’arte della gioia', scritto tra il ’67 e il ’76 ma diventato solo nel 2005 un caso letterario, per trarne una serie, la sua prima in assoluto, 8 episodi che dirigerà per Sky.

Mentre è nelle sale con 'Lasciami andare', il thriller di Stefano Mordini con Stefano Accorsi che ha chiuso la Mostra di Venezia, ieri alla Festa del Cinema Valeria ha presentato Fortuna, opera prima di Nicolangelo Gelormini, ispirato alla terribile storia vera di Fortuna Loffredo, uccisa nel 2014, a sei anni, dopo anni di abusi, a Caivano, periferia di Napoli, astrattamente rappresentata come una qualsiasi periferia del mondo. In questo film, la Golino è una psicologa che cura la piccola Fortuna, e la mamma che la bambina vorrebbe.

Valeria, ha conosciuto la mamma di Fortuna?

"No, ne ho volutamente fatto a meno. Sapevo poco della vicenda. Ho appreso quello che era successo dalla sceneggiatura, estremamente interessante, come capita raramente di leggere. E, aldilà del dolore e della vergogna che provo quando penso alla realtà, quello di Nicolangelo mi è sembrato un gesto talmente poetico, amorevole e originale, con un punto di vista diverso, che volevo esserci".

Di fatto interpreta due personaggi.

"Io non sono la madre vera, interpretata da Pina Turco, ma la mamma che Fortuna vorrebbe. Una mamma protettiva, soave, che tiene la casa con decoro e che accoglie, senza porre condizioni. Tutti tratti del carattere che ho portato anche nell’altro personaggio, quello della psicologa".

Una sceneggiatura, questa, diceva, come capita di rado di leggere. Perché, come sono in genere?

"Più spesso capitano prodotti meno pericolosi, meno rischiosi. Questa era una sceneggiatura rischiosa, scritta benissimo, ma anche misteriosa, criptica, con una grandissima evocazione delle atmosfere ed è quello che mi ha dato la voglia di farlo".

E la sceneggiatura dal libro L’arte della gioia di Goliarda Sapienza a cui lei sta lavorando?

"Difficilissima. Modesta, la protagonista, è personaggio unico nella letteratura non solo italiana. Una donna senza senso di colpa, senza la psicanalisi, una specie di freak. Un tipo di personaggio che al cinema hanno fatto quasi sempre gli uomini".

Ha conosciuto Goliarda?

"Sì, avevo 18 anni, lei era l’ex di Citto Maselli con cui stavo per girare Storia d’amore, che sarebbe uscito nell’86, e lui propose a Goliarda di aiutarmi perché dovevo essere una borgatara romana e all’epoca si sentiva il mio accento napoletano. La sua vita era già un romanzo: scrittrice, attrice, arrestata per un furto... Lei mi diceva: sei la mia Modesta, il nome della protagonista del libro, una donna siciliana scomoda e immorale per il suo tempo. Nella mia serie tv c’è la prima parte del romanzo, che è di formazione ed erotico: dai suoi 8 ai 18 anni".

È un personaggio fuori dagli schemi anche quello che interpreta in Lasciami andare...

"Sì, una donna che pur sotto traccia ha una sua sgradevolezza. Ho accettato il film per questo. Poche volte ho potuto fare l’antagonista".

Nuovi impegni da attrice?

"Sono una ladra nell’opera prima di Michela Cescon, Occhi blu, una strega in La terra dei figli di Claudio Cupellini. E sarò nel nuovo film di Mordini, La scuola cattolica, tratto dal romanzo di Albinati, sul massacro del Circeo".

Tra due giorni compie 55 anni: li festeggia con un’attività così intensa?

"Eppure intimamente non sono contenta di me. Sono delusa di come porto avanti le cose, mi piaccio sempre meno... Va tutto bene, sono solo io che non mi sento all’altezza di ciò che mi propongono. Non è un momento scintillante, sono un po’ opaca".

È un periodo difficile per tutti.

"Siamo tutti esausti, preoccupati, impegnati a seguire le regole, cercando di proteggere gli altri e noi stessi. Tra parossismo e restrizioni. Esistenzialmente è un momento molto delicato".

Un momento critico anche per il cinema.

"Per quanto riguarda la nostra industria, penso che il lavoro c’è e ci sarà, perché più le piattaforme diventano sovrane, più c’è bisogno di prodotto. Ciò che spaventa è l’idea che il virus ha sancito che il cinema è un di più: altro che duecento spettatori, magari ce ne fossero almeno cinquanta. Mi spaventa l’idea della perdita della sala cinematografica, che è il modo più bello di fruizione di un film. Di quello abbiamo paura, non di non lavorare. Ma sono certa che torneranno tempi migliori".

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