
A Parigi il maestro trasforma la passerella in una tela notturna piena di emozioni. E per Chanel al Grand Palais un lussuoso ritorno alla genuinità bucolica.
"In vent’anni di Privé, è la prima volta che non sono a Parigi. Durante questi viaggi respiravo l’energia della città, mi caricavo dell’adrenalina delle prove. Tutto questo mi manca, non lo nego". Parole che svelano l’emozione dietro la disciplina di ferro. Ma Giorgio Armani, convalescente nella quiete milanese, sa anche prendersi cura di sé con la stessa saggezza con cui cura le sue collezioni: "So di poter contare su mani e menti capaci, al mio fianco da sempre", aggiunge, riconoscendo il valore della sua squadra affiatata.
E così, assente giustificato anche se controvoglia ("ho seguito il consiglio dei medici di prolungare il riposo, sebbene mi sentissi pronto a partire"), da remoto dirige impeccabilmente la sfilata Armani Privé nel suo Palazzo in Rue François Premier per l’a-i 2025-26, tutta devota al nero. Colore-non colore per eccellenza, è il banco di prova per ogni grande couturier: "Non puoi permetterti di sbagliare: ogni dettaglio deve essere perfetto, perché mette in evidenza l’essenza di un abito". Quello che appare subito evidente è quanto il nero diventi nelle sue mani una sinfonia carica di significato e di referenze storiche – dagli anni Venti ai Quaranta, con uno sguardo al romanticismo vittoriano e ai decori d’altrove – un linguaggio emotivo che evoca mondi interi. È una tonalità dalla simbologia ambivalente, "perché può essere considerato in modo positivo (umiltà, dignità, autorità, seduzione) o negativo (tristezza, lutto, peccato, inferno)", ricorda lo storico Michel Pastoureau nel volume Nero. Storia di un colore.
La passerella diventa così tela notturna, su cui disegna silhouette pulite e impeccabili, vivificando la sartorialità maschile con una femminilità molto sensuale e parecchio potente. Smoking e frac rivisitati si alternano a blazer dalle spalle acute portati con delicatezza sul nudo; orli mobili di gonne e volant capricciosamente irrigiditi di giacche prendono vita sotto la luce. Il suo nero non è mai statico: velluti profondi dialogano con sete liquide, superfici opache con tocchi lucenti, oro e cristalli fanno capolino come segreti sussurrati o trionfano nei ricami lussureggianti.
Come sempre si tratta di trovare nuovi temi restando fedeli alle proprie modalità d’espressione. Questa volta le regole armaniane dell’attrazione sono una dichiarazione d’intenti discreta ma puntuale: catturare sguardi, evocare emozioni, svelare ciò che resta quando il superfluo è eliminato. Armani si concede qualche civetteria nei lunghi abiti che ondeggiano morbidi grazie a fiocchi inflessibili, plastron velati che fingono di coprire ciò che invece mostrano, polsini che giocano a fare i bracciali. Ed ecco tocchi d’oro e fodere, conversazioni colori da pietre dure, fodere impreziosite da cristalli che ammiccano.
Eppure, anche nel lusso il tono rimane misurato, mai eccessivo. Una opulenza disciplinata: due parole che, secondo Re Giorgio, sono un ossimoro possibile. La sua mano insiste sulla moderazione elegante – quasi a dire che la modernità è nella triangolazione tra sogno, funzionalità e linearità. Invitati Vip e doc annuiscono convinti e applaudono a scena aperta: dall’attrice Angela Bassett alla sempreverde Marisa Berenson, dall’irriverente fotografo Juergen Teller alla aristocratica modella principessa Maria Olympia di Grecia, dall’italiana attrice Pilar Fogliati all’imprenditrice Lauren di Santo Domingo, dalle cugine acquisite, le socialite Ivy e Sabine Getty alle attrici Araya Hargate e Isis Valverde, protagonista della serie di Disney+ Maria e o Cangaço.
E se Armani dipinge la sera di nero, Chanel propone un ritorno alla genuinità bucolica in un Grand Palais allestito per l’occasione dallo scenografo Willo Perron. Nella palette dominano i toni naturali dell’écru, avorio, marrone, verde muschio. Gli abiti sono un omaggio a un abbigliamento maschile falsamente rurale; giacche comode e allungate, pantaloni generosi, gonne pratiche. Il cuore materico della collezione è il tweed, reinventato in lana bouclé che a tratti sembra imitare una pelliccia. In attesa del nuovo direttore creativo Mathieu Blazy, la collezione tende a preservare gli emblemi della maison, come la spiga di grano: allegoria di prosperità, che compare ovunque, intrecciata nelle balze di chiffon, ricamata lungo lo scollo dell’abito da sposa finale. Quasi una Cerere moderna.