Gianni Minà, l’uomo che intervistò i più grandi

È morto a 84 anni. Giornalista e inventore di programmi televisivi, raccontò i protagonisti dello sport (Ali e Maradona) e della Storia (Fidel)

Gianni Minà  con Gabriel García Márquez, Sergio Leone, Muhammad Ali e Robert De Niro

Gianni Minà con Gabriel García Márquez, Sergio Leone, Muhammad Ali e Robert De Niro

Più che un giornalista, un amico. Più che un intervistatore, un compagno. Gianni Minà è morto ieri a Roma per una malattia cardiaca, aveva 84 anni, lasciando negli archivi Rai dozzine di interviste impossibili che lui, con la sua placida bnomia e con la sua inconfondibile pronuncia farcita di zeppole, riusciva a strappare non agli sportivi qualsiasi, ma ai campioni dei campioni che per noi cronisti normali erano pressoché irraggiungibili. Lo vedevi accanto a Mohammed Ali che gli dava del tu, conversavano come due amici al bar. La telecamera lo inquadrava insieme a Maradona, come se avessero vissuto insieme. Per non parlare dei politici: solo Gianni Minà, in virtù di chissà quale prodigioso maneggio, riuscì a intervistare Fidel Castro. Celebre la sua mega-intervista al leader cubano, 16 ore, che suscitò non poche polemiche, poiché molti gli rimproveravano di essersi messo in ginocchio. In ogni caso, lui la fece.

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Eppure Gianni Minà, con quell’aspetto dimesso, quei radi capelli crespi, quei baffetti teneri, riusciva a penetrare nei sancta sanctorum più ostici. Uno, per dire, che una sera a Roma riuscì ad andare a cena con, tenetevi forte: Muhammed Ali, Robert de Niro, Sergio Leone e Gabriel Garcia Marquez. Mica uno alla volta, eh, tutti insieme attorno allo stesso tavolo. Poteva alzare il telefono e parlare con Robert Redford, Maradona, Mina. Uno che intervistò i Beatles, e ho detto tutto. Davanti alla sua telecamera sfilarono – e nella stessa puntata di Blitz! – Federico Fellini, Giulietta Masina, Sergio Leone, Robert De Niro, Claudia Cardinale, Ennio Morricone. Altro che Belve, lui era un intero branco di leoni.

La notizia è stata data con un post sui social: "Gianni Minà ci ha lasciato dopo una breve malattia cardiaca. Non è stato mai lasciato solo, ed è stato circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari. Un ringraziamento speciale va al Prof. Fioranelli e allo staff della clinica Villa del Rosario che ci hanno dato la libertà di dirgli addio con serenità".

Nato a Torino, avva iniziato la carriera da giornalista nel 1959 a Tuttosport, mentre l’anno successivo aveva debuttato in Rai collaborando alla realizzazione dei servizi sportivi sui Giochi Olimpici di Roma (1960). Approdato a Sprint, r otocalco sportivo diretto da Maurizio Barendson, a partire dal 1965 si occupò di documentari e inchieste per numerosi programmi, tra cui Tv7, AZ, un fatto come e perché, Dribbling, Odeon. Tutto quanto fa spettacolo e Gulliver.

Ma fu con L’altra domenica di Renzo Arbore che raggiunse il pubblico più avveduto e sofisticato, a cui dispensava le sue famose interviste. Nel 1976 venne assunto al Tg2 diretto da Andrea Barbato. Nel 1981 vinse il "Premio Saint Vincent" in qualità di miglior giornalista televisivo dell’anno. Dopo aver collaborato con Giovanni Minoli a Mixer, debuttò come conduttore di Blitz, programma di Raidue di cui fu anche autore, accogliendo ospiti come Eduardo De Filippo, Federico Fellini, Jane Fonda, Enzo Ferrari, Gabriel García Márquez e Muhammad Ali sul quale scrisse anche un libro.

Cronista d’altri tempi, mai aggressivo, sempre colloquiale, forse complice, ma senza piaggeria, Gianni Minà era il grande piccolo uomo del giornalismo televisivo. Armato di un sorriso e di un microfono, raccontava gli eroi dei suoi tempi. Metà artigiano, metà stregone. Ma sempre sincero.

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