"Signorina Alberta, il mio sogno è trascorrere le vacanze fra le sue cosce". "Ah, signor Paul, se me lo avesse detto prima! Adesso è già tutto prenotato..." La battuta di Wolinski, il disegnatore morto tragicamente nel 2015 durante l’assalto jihadista a Charlie Hebdo, riassume perfettamente i due poli che alimentano il desiderio di viaggiare: da una parte il brivido dell’ignoto, il piacere di scoprire terre ancora sconosciute; dall’altra il fantasma erotico di una possibile, auspicata avventura sessuale. Due facce della stessa medaglia. Parte da questa osservazione il libro Une histoire érotique du voyage, edito da Payot. Ne è autore l’etnologo e sociologo Jean-Didier Urbain, docente di antropologia culturale all’università Paris-Descartes e studioso del fenomeno del turismo.
Il viaggio, dice, è la terapia con cui curare l’alienazione che subisce l’uomo occidentale contemporaneo: una risposta al bisogno di uscire dal presente per trovare nuovi orizzonti, nuove culture, nuovi sapori culinari, nuovi piaceri, nuove pratiche sessuali. Studiando l’evoluzione sociale degli ultimi secoli e la parallela liberazione dei costumi, Urbain ci mostra come le immagini cambino nella cornice pur raccontando la stessa storia: Venezia città romantica e culturale per eccellenza, Tahiti isola esotica dalle acque turchesi, Pattaya attrazione mondiale per amanti del turismo sessuale… Tre città-simbolo del “viaggio erotico” nelle sue diverse declinazioni.
Non è sempre stato così: il calvario dei pellegrini che si recavano in Terrasanta, gli esodi rurali, le migrazioni di popolazioni affamate, le guerre e le spedizioni militari fanno capire quanto fossero stressanti e pericolosi i viaggi del passato.
Mancava la componente del piacere, la raffinatezza della seduzione e dell’erotismo accentuati dalla novità. Bisognerà aspettare il modello umanista del Rinascimento per l’apparizione dei primi “grand tour”, inizialmente solo a sfondo culturale, artistico, scientifico o spirituale.
Michel de Montaigne, il filosofo degli Essais, è l’incarnazione erudita di questa nuova figura di viaggiatori: ma aveva già 47 anni ed era all’apice della fama quando andò a scoprire nel 1580 l’Austria, la Svizzera, la Germania e soprattutto l’Italia, dove soggiornò per diversi mesi.
Dovevano passare ancora secoli prima che Maupassant, Rimbaud e tanti altri scrittori e intellettuali scoprissero il fascino erotico del viaggio: siamo nel 1849 quando Gustav Flaubert in una lettera al fratello Achille descrive con voluttà "i seni a punta" delle donne egiziane, e nel 1908 quando il medico Victor Segalen rimprovera Pierre Loti per aver provocato "innumerevoli prostituzioni incitando i lettori a viaggiare per gustare sapori proibiti".
Queste scappate in terre sconosciute erano destinate quasi esclusivamente agli uomini: le donne, come Penelope, restavano a casa a fare e disfare la tela quotidiana. Pochissime le eccezioni: fra queste Jeanne Baret, la prima francese ad effettuare il giro del mondo, nel 1767. S’imbarcò in abiti maschili col suo amante Philibert Commerson per la spedizione scientifica di Louis-Antoine de Bouganville; giunta a Tahiti dopo un periplo di un anno venne smascherata dagli indigeni che la riconobbero a quanto sembra… dall’odore e si misero a gridare “vahiné, vahiné” (che significa “donna” nella lingua locale).
Dopo Jeanne Baret molte altre, da Alexandra David-Néel a Margaret Mead a Isabelle Eberhard, trovarono nei viaggi e nelle loro componenti erotiche e sensuali una ragione di vita. Sarebbe così anche oggi per milioni di persone se non fosse arrivato il Covid ad imporre il suo brutale stop.
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