Mercoledì 24 Aprile 2024

"Eravamo punk, ora siamo (malin)comici"

Salvatores torna col film “Comedians” dalla pièce che lanciò nel 1985: "L’anarchia giovanile si è trasformata nella voglia di riflettere"

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di Beatrice

Bertuccioli

Non basta far ridere, il comico deve essere uno che osa, che va a scoprire delle verità, ripete Berni ai suoi allievi. Tra poco si esibiranno davanti a un comico di successo che sceglierà due di loro per portarli in tv. Ma quando l’atteso ospite arriva, spiega subito che non cerca filosofia ma divertimento. Comedians, pièce dell’autore inglese Trevor Griffiths, è una riflessione sul senso della comicità che Gabriele Salvatores ha portato in scena nel 1985 con la Compagnia dell’Elfo. Ma tra il regista premio Oscar nel 1991 con Mediterraneo e questo testo, esiste un’attrazione profonda. Non gli era bastato quello spettacolo teatrale e nemmeno il film Kamikazen – Ultima notte a Milano, pure apparentato a quella commedia, entrambi con attori come Paolo Rossi, Silvio Orlando e Claudio Bisio divenuti poi molto famosi, per chiudere i conti con quell’opera.

Nel suo nuovo film, Comedians, dal 10 giugno nelle sale, ha voluto riprenderla in mano ancora una volta per scandagliarla e scoprirne altri significati in precedenza non colti. Un film che fonde analisi profonde e battute a raffica, con un cast di comici come Christian De Sica, a suo agio nel ruolo di chi crede nella risata senza troppe implicazioni, Natalino Balasso in quello del suo antagonista, Ale e Franz, un giovane talentuoso Giulio Pranno, Walter Leonardi, Vincenzo Zampa, Marco Bonadei.

Salvatores, come mai ancora Comedians?

"Più vai avanti nella vita, più ti accorgi che le caramelle diminuiscono e non vale la pena perdere tempo a fare cose a cui non credi davvero. E allora sono tornato a fare Comedians, che avevo fatto a teatro nel 1985, ma questa volta al cinema. Rileggendola molto tempo dopo, ho scoperto che la pièce di Griffiths ha, come direbbero i Pink Floyd, un suo dark side, una parte riflessiva, anche fortemente malinconica ed è anche molto più attuale di quanto pensassi".

Un cast molto affiatato. Come vi siete preparati?

"Allora, con Paolo Rossi, Bisio e gli altri, formai una squadra di calcio, i Comedians, e la iscrissi a uno di quei tornei che organizzava l’Arci e giocammo in certi campetti in cui Antonio Catania ci ha rimesso una caviglia. Questa volta, vista l’età di alcuni, non ho osato riproporre la stessa cosa ma ho optato per le prove, come si fa a teatro. E come aveva fatto Clint Eastwood per Gran Torino e per Million Dollar Baby. Per due settimane siamo rimasti a provare nella stessa sala dove poi avremmo girato il film, studiando anche le inquadrature, dove posizionare la macchina da presa. E così, ci sono bastate quattro settimane per fare il film".

Le differenze tra la vecchia lettura e quella di oggi del testo di Griffiths?

"Quando abbiamo messo in scena il testo nell’85 eravamo giovani, anarchici, desiderosi di successo e affamati di farci vedere, e anche di far ridere. Quindi avevamo usato il testo di Griffiths un po’ come contenitore per una serie di gag e di improvvisazioni. Questa volta volevo mettere in scena il testo fedelmente. Quelle che si ascoltano sono le sue parole, tranne le battute comiche che ho dovuto adattare, perché anche la comicità è in qualche modo localistica".

C’era stato lo spettacolo ma anche il film del 1987.

"Kamikazen è veramente un’altra cosa, non c’è la scuola, non c’è il maestro... In quel film indagavamo le vite private dei singoli personaggi. Si raccontava la Milano degli anni ’80, ma mentre alcuni film parlavano di via Montenapoleone, noi mostravamo l’umanità che viveva nelle case di ringhiera".

Ha mai pensato di fare il film riprendendo gli stessi attori di allora, da Paolo Rossi agli altri?

"Con loro sono ancora molto legato, ma purtroppo il tempo passa per tutti e quindi avrebbero potuto fare i maestri, non gli allievi. L’età va avanti, e questo è il tema del mio prossimo film (Il ritorno di Casanova da Schnitzler, con Toni Servillo ndr)".

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