Mercoledì 24 Aprile 2024

E la mafia arrivò al cinema col volto dei divi

Nel paese di Sciascia una mostra con le foto sul set de “Il giorno della civetta“. Era il 1967, protagonisti: Claudia Cardinale e Franco Nero

di Lorenzo Guadagnucci

Leonardo Sciascia scrisse Il giorno della civetta nell’estate del 1960 – il libro uscì per l’editore Einaudi l’anno successivo – ma aveva la storia in mente da molto tempo. Almeno dal 1944, aveva 23 anni, quando a Racalmuto, il suo paese natale, fu ucciso il sindaco Baldassarre Tinebra. "Lo ammazzarono la sera del 15 novembre di quell’anno – scrisse ne Le parrocchie di Regalpetra (1956)– era sera di domenica, la piazza piena di gente, gli appoggiarono la pistola alla nuca e tirarono, il sindaco aveva intorno amici, nessuno vide, si fece vuota rosa di paura intorno al corpo che crollava..." Nel Giorno della civetta la scena dell’omicidio è diversa e prende spunto da un altro caso di cronaca, l’assassinio nel 1947 a Sciacca del sindacalista Accursio Miraglia, ma la sostanza è la stessa: la mafia che uccide un giusto, l’omertà che la protegge. Sciascia aveva ruminato e affinato tutto dentro di sé, finché non trovò la forma del romanzo poliziesco per raccontare ciò che nessuno aveva fino a quel momento affrontato con gli strumenti della finzione letteraria.

Il giorno della civetta ha segnato un’epoca. Il libro ebbe subito larga diffusione e fu consacrato, era ormai il 1968, dal film che ne trasse Damiano Damiani. Un film a sua volta epocale, con Franco Nero e Claudia Cardinale nei ruoli del capitano dei carabinieri Bellodi e di Rosa Nicolosi, moglie dello scomodo testimone oculare dell’omicidio mafioso. Se il romanzo portò la mafia nella letteratura, altrettanto si può dire del film per il mondo del cinema, con un impatto – quello del grande schermo e di divi come Nero e Cardinale – addirittura superiore.

Il film di Damiani rivive da qualche giorno e fino al 19 settembre in una mostra allestita a Racalmuto a cento anni dalla nascita dello scrittore. La sede della Fondazione Leonardo Sciascia, ma anche il Teatro Regina Margherita, il Municipio e alcune strade del paese fanno da sfondo a 120 fotografie scattate da Enrico Appetito durante la lavorazione. Si ritrovano, scatto dopo scatto, le scene più importanti del film, i volti tirati e concentrati dei protagonisti, ma anche i momenti di relax e la vita quotidiana sul set allestito a Partinico. La bellissima Claudia Cardinale, all’epoca trentenne, l’altrettanto avvenente Franco Nero, l’attore statunitense Lee J. Cobb, perfetto nei panni dell’autorevole e sfuggente capomafia. E poi le figure minori, le comparse prese fra la gente del posto a comporre un mosaico che compensa, con i volti autentici di siciliani “normali“, l’effetto straniante di divi del cinema fin troppo belli e perfetti per una storia di paese come quella raccontata nel Giorno della civetta.

Leonardo Sciascia è diventato lo scrittore che conosciamo grazie a questo romanzo fortunato, eppure non lo amava. "Ha avuto troppo successo – confessò una volta – e per ragioni esterne. Non rimpiango di averlo scritto, tutt’altro: ma è irritante accorgermi qualche volta che lo si legge come un ragguaglio folcloristico". In effetti Sciascia nel Giorno della civetta non dipinge macchiette ma racconta una mafia già modernizzata, capace di gestire il sistema degli appalti pubblici e di penetrare nel sistema politico attraverso il partito della Democrazia cristiana. "Quando scrissi il libro – ricordava spesso – il governo non si disinteressava del fenomeno mafioso, ma addirittura lo negava". E non sorprende che le parti politicamente più delicate furono cancellate dall’edizione scolastica del romanzo, all’insaputa dell’autore.

Sciascia amava poco il suo libro anche perché era imbarazzato dal successo del personaggio negativo, il mafioso don Mariano Arena, e dal compiacimento con il quale fu accolta la sua suddivisione dell’umanità in cinque categorie in una scena madre del libro e del film: uomini (gruppo nel quale don Mariano includeva sé stesso ma anche il capitano Bellodi), mezz’uomini, ominicchi, pigliainculo (pudicamente trasformato per il cinema in ruffiani) e quaquaraquà.

Matteo Collura nella sua biografia di Sciascia scrive che l’essere siciliano giovò alla carriera iniziale dello scrittore – gli diede credibilità – ma poi gli si ritorse contro, finché fu accusato di essere troppo addentro alla cultura mafiosa. Resta un fatto: fu grazie a Sciascia e al Giorno della civetta – e al film che ne fu tratto – che l’Italia cominciò a fare i conti con la mafia che cresceva (e ancora prospera) nel suo seno.

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