Venerdì 26 Aprile 2024

Dall’operetta a Toscanini: il Dal Verme fa 150

Il più irregolare teatro di Milano fu inaugurato il 14 settembre 1872. Nel 1914 gli ululati al Concerto futurista, nel ’19 il flop di Mussolini

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di Anna

Mangiarotti

Ha dell’incredibile la storia del Teatro Dal Verme: il 14 settembre 1872, il palcoscenico più moderno e stupefacente d’Italia s’inaugura nel cuore storico di Milano, dove il conte Francesco Dal Verme è riuscito ad acquistare il terreno, fra le attuali Foro Bonaparte e via san Giovanni sul Muro, occupato dal circo della Compagnia Equestre di Gaetano Ciniselli. Meta di turbolenti spettatori che disturbano i residenti della vicina zona bene, affittuari del conte. Vietato abbatterlo, se non per sostituirlo con un altro teatro. E l’erede della vermesca casata, dal Medioevo rinomata per intelligenti condottieri, s’inchina alla legge: in lunghe trattative s’imbarca non con funzionari corruttibili, che gli consentano un più profittevole investimento immobiliare, ma col testardo Ciniselli cavallerizzo onorario di Sua Maestà. Finché dal defunto baraccone di legno fa risorgere, in tempi brevissimi, un avveniristico gioiello della scenotecnica.

Tipica forma a ferro di cavallo dei teatri lirici, sala da tremila posti, due ordini di palchi (56), sormontati dal loggione di 1.400 posti; trasformabili la platea in gradinata e il palcoscenico in arena. Il ritrovamento del progetto originale dell’architetto Giuseppe Pestagalli arricchisce l’esposizione scandita da locandine, filmati, foto d’epoca, libretti, modellini, in programma dal 15 settembre al 27 novembre: Teatro in mostra. Una storia lunga 150 anni, curata da Paolo Bolpagni. Che ricorda, ahinoi, anche le bombe alleate del ‘43: "Colpirono la famosa cupola di rame su cui fu girato nel 1915 il macabro muto Jockei della morte, tra i primi noir. Perso per sempre pure l’interno. La ricostruzione ridimensionerà l’edificio".

Ma un teatro non è solo spazio fisico. E la storia del Dal Verme, “declinata al futuro” precisa il calendario delle celebrazioni (fino al 21 dicembre), è soprattutto storia di compagnie, impresari, autori, interpreti. Nel 1914 va in scena il primo concerto futurista rievocato dal rarissimo manifesto esposto. Ululati, gorgoglii, ronzii, emessi da 18 strani marchingegni: intonarumori. Dentro, il finimondo, lancio d’ortaggi da parte degli spettatori; fuori, persino tafferugli. Non facile conquistare la sensibilità dei milanesi. Il 23 marzo 1919 incredibile è pure l’esito della strombazzatissima prima adunata dei fasci di Mussolini: non arriva abbastanza gente, il teatro resta chiuso. Per la prima della Vedova Allegra nel 1907 era stato preso d’assalto.

Oltre alle operette (biglietti prenotati un anno prima), attirano il pubblico plaudente gli asini sapienti delle riuscitissime carnevalate organizzate a scopo benefico, in piena quaresima, da dame e gentiluomini dell’aristocrazia cittadina. E le prime opere di Puccini e Leoncavallo. E le prime direzioni di Toscanini venticinquenne appena diplomato, poi dei giovani Abbado e Muti. E i balletti romantici, poi le lezioni Umberto Eco. E gli incontri di pugilato, poi il mitico jazz di Duke Ellington e Louis Armstrong. E Totò in Madama Follia, poi Dario Fo e il Dalai Lama...

Negli ultimi venti anni, con la gestione de I Pomeriggi Musicali, quattromila eventi e 4,7 milioni di presenze. Incipit dei festeggiamenti, oggi ore 20 (ingresso gratuito, prenotazione obbligatoria), in prima esecuzione assoluta, la cantata per mezzosoprano e orchestra commissionata a Carlo Galante, nel centenario della nascita di Pasolini: Lettera al poeta, su testo di Davide Rondoni. Forlivese ma bolognese d’azione, poeta a sua volta, deve essere stato trascelto come la più spiccata personalità della sua generazione, attento alla voce della vita, non confezionabile in commerciale comunicazione, semmai prossima al sound ribattuto del blues, al ritmo sincopato del respiro.

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