Mercoledì 18 Giugno 2025
ANDREA SPINELLI
Magazine

Con l’orchestra e la Stratocaster The Who, invecchiare è rock

di Andrea Spinelli

Le volte che The Who sono venuti in Italia si contano sulle dita di una mano e il numero complessivo di concerti non arriva a dieci, per questo l’altra sera al Parco delle Cascine di Firenze sotto al loro palco si respirava l’attesa dell’evento unico, memorabile, e forse definitivo, visti i 157 anni che Roger Daltrey e Pete Townshend si spartiscono sul boccascena di questo Hits Back! con orchestra. In riva all’Arno quella del Maggio Musicale, chiamata a solennizzare la più grande contraddizione della loro vita: essere sopravvissuti ai ragazzi che in My generation ruggivano nel microfono "spero di morire prima di diventare vecchio". Come rivelato a suo tempo da Townshend, infatti, gli Who non avrebbero dovuto neppure essere una band, ma una sorta di progetto culturale concepito attorno al concetto di arte autodistruttiva di Gustav Metzger, destinato a dissolversi non appena arrivato al successo. O, peggio ancora, ad annientarsi davanti agli occhi del pubblico, come vagheggiato dalle folli menti che suggerivano ai quattro di cospargersi di benzina e darsi fuoco sul palco.

Davanti a certe estremizzazioni del pensiero, meglio vivere nell’eterna crisi esistenziale di aver perduto rovinosamente la battaglia contro i propri princìpi. Sessant’anni dopo, con metà band deceduta, il furioso ringhio di Won’t get fooled again ricorda che è stata la scelta giusta. Quella di lasciar filtrare la luce di Tommy e Quadrophenia attraverso il prisma di archi, ottoni e percussioni è un’idea carezzata dalla coppia Daltrey-Townshend in più occasioni, ma portata in tour solo dal 2019 (come attesta su disco il live registrato a Wembley nella prima tranche di questo giro di concerti), senza per questo tralasciare in passaggi come Substitute, The Seeker o I can see for miles, una parentesi da rockband ricordando che, se l’orchestra è rigore, una mezzoretta “da indisciplinati” è quel che ci vuole.

Partito sottotraccia, dopo il set maiuscolo offerto al popolo di Firenze Rocks da Tom Morello, il connubio degli Who con l’Orchestra del Maggio diretta da Keith Levenson ha iniziato a crescere in Pinball Wizard portando, canzone dopo canzone, al tripudio finale di una Baba O’Riley impreziosita dal solo al violino della procace Katie Jacoby. Berretto rosso da marinaio e giacca chiara, Pete Townshend (supportato dal fratello Simon alla chitarra acustica) ha tirato fuori dalla Stratocaster il suono dei momenti migliori scatenando il boato ogni volta che ruotava il braccio nella più iconica delle sue pose, mentre Roger Daltrey non avrà più il falsetto angelicato di un tempo, ma la sua forza baritonale è incrollabile e la carica drammatica del refrain "See me, feel me Listening to you" nel finale di We’re Not Gonna Take It ancora da pelle d’oca. Il cantante rotea il microfono come un lazo, anche se con meno veemenza dei tempi d’oro: eccessi da rockstar oggi accantonati conservando, però, uno smalto invidiabile per chiunque viaggi su un palco attorno agli ottant’anni.