Giovedì 25 Aprile 2024

Caruso e l’amore di Ada: galeotto fu Puccini

Il centenario della morte del grande tenore. Nel 1897 l’incontro con il soprano: una passione travolgente dalla “Bohème“ alla vita

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di Maurizio Sessa

Enrico Caruso e Ada Giachetti incrociarono le voci, gli sguardi, i propri destini. Il loro destino. Era il preludio travolgente di un amore tragico. Livorno per due mesi fu la terra de l’ammore. Purtroppo, il film della loro vita non si sarebbe concluso con il classico happy ending, versione riveduta e corretta a scopo industriale del “vissero per sempre felici e contenti” delle vecchie fiabe popolari. La fiaba di Enrico e Ada finì male.

Enrico e Ada: galeotto non fu il libro e chi lo scrisse. Galeotto fu il parto geniale di un compositore lucchese che amò come nessun altro le donne. Galeotto fu, a dirla tutta, il bisogno di pecunia d’entrambi gli artisti.

Ada Giachetti, maritata Botti, nonostante i convinti favori del pubblico sino ad allora riscossi, si era ritrovata senza scrittura per l’estate. E aveva dovuto ricorrere a un’inserzione su una rivista di settore. Da buona fiorentina, del resto, a Livorno era di casa, la sua famiglia possedeva un’abitazione. Quanto a Caruso, che non navigava nell’agiatezza, si accontentò di un cachet di 15 lire a recita. Mettere a contratto un tenore di belle speranze che non facesse sfigurare e, particolare di non poco conto, costasse il giusto per un impresario smaliziato era il massimo della felicità. C’era di che stropicciarsi le mani.

Enrico Caruso e Ada Giachetti Botti cantarono assieme La Traviata di Verdi e, fuori cartellone, La bohème di Giacomo Puccini, il massimo cantore dell’eterno femminino del teatro musicale, reduce dalla controversa prima del 1° febbraio 1896 al Teatro Regio di Torino. Ada Giachetti incassò un duplice ingaggio: oltre a Violetta nell’opera verdiana avrebbe cantato da protagonista in un altro capolavoro pucciniano: Manon Lescaut.

Superata brillantemente, il 7 luglio 1897, l’impegnativa sfida della Traviata, smessi gli abiti di Alfredo Germont e di Violetta Valéry per indossare quelli del poeta Rodolfo e della fioraia Mimì, Enrico e Ada si “innamorarono” nella Bohème. Il sipario si alzò sui tetti bigi di Parigi coperti di neve... il giorno precedente Ferragosto.

Ma non erano state tutte rose e fiori. La vigilia, e non solo per il clima estivo, era stata incandescente. (L’impresario Arturo) Lisciarelli alla luce del successo riscosso da Manon Lescaut il 24 luglio decise un fuori programma per il pubblico livornese con un’altra opera pucciniana di grido: La bohème appunto.

Ma i soldi in cassetta non erano molti oppure l’impresario non ne voleva sborsare troppi. Il tenore Umberto Beduschi, di recente creatore della parte di Marcello nella Bohème di Leoncavallo alla Fenice di Venezia, a Livorno già interprete di De Grieux e tenore designato per la parte di Rodolfo, avrebbe cantato “Che gelida manina” dietro lauto compenso. Lisciarelli rivolse allora l’attenzione su Caruso. E la scelta ricadde sul meno esoso, economicamente, giovane tenore partenopeo. L’urgenza di guadagnare soldi con la formula “pochi maledetti e subito” non sarebbe durata ancora per molto... (...)

Beduschi, ovviamente, accolse male l’inaspettata esclusione. E cercò di vendicarsi con un colpo basso, spargendo rumors velenosi. Niente di nuovo sotto il sole. Ma lo sgarbo non andò a segno, si infranse contro l’accoglienza tripudiante di pubblico e critica. Il 25 agosto, a giochi ormai fatti, Caruso confessò a Vergine la scorrettezza del collega: "Carissimo Maestro, mi scuserete se io non ho risposto alle Vostre, ma per me è stato giocoforza, perché non potevo rispondere, stando le cose a mal partito. Sappiate che io sono rimasto qui per niente, solamente per avere la soddisfazione di cantare la Bohème, perché Beduschi mi aveva rotto le gambe, dicendo che nessuno poteva farla meglio di lui e che io potevo cantare bene La Traviata, ma la Bohème no!".

La sera del 14 agosto 1897 fu accompagnata da stupore e applausi infiniti degli spettatori paganti. L’opera con libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, diretta per l’occasione dal direttore Vittorio Podesti, suscitò commenti calorosi sulla stampa cittadina. Il recensore della Gazzetta livornese azzardò profeticamente: "Caruso rammenta i più celebri interpreti del divino spirito: ricordo soltanto Boucardé e Stagno!". Si additò la perfetta compenetrazione di doti canore e quelle di attore. Era nato, si permetta il neologismo, un “cantattore”. Caruso ‘o cantattore.

Gli occhi dei critici si appuntarono nondimeno su Ada, una Mimì "piena di attrattive, di charme e di passione". Enrico e Ada si amavano e il pubblico li amava. Il loro fu un colpo di fulmine, non un temporale estivo. L’amore straboccò come un fiume in piena dalla finzione alla realtà.

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