Giovedì 12 Dicembre 2024
BEATRICE BERTUCCIOLI
Magazine

"Berlinguer, l’ambizione di un mondo migliore"

Alla Festa di Roma, Elio Germano protagonista del film che ricostruisce gli anni in cui il segretario del Pci lavorò al compromesso storico

"Berlinguer, l’ambizione di un mondo migliore"

Elio Germano, 44 anni, nel film Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre

Roma, 17 ottobre 2024 – Un mare di bandiere rosse e di pugni alzati ondeggiavano sopra una folla sterminata che nemmeno una piazza come quella di San Giovanni era in grado di contenere. In silenzio, con le lacrime agli occhi, oltre un milione e mezzo di persone – fu calcolato – erano presenti ai funerali di Enrico Berlinguer, quel 13 giugno 1984. Il segretario del Partito Comunista Italiano si era spento a soli 62 anni, lui, leader amatissimo che aveva guidato quello che allora era il più importante partito comunista del mondo occidentale, con un milione e 700mila iscritti e dodici milioni di elettori. Il film Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre gli rende omaggio e ricostruisce in particolare gli anni della sua azione politica volta a realizzare un socialismo democratico attraverso il “compromesso storico“ con la Democrazia Cristiana, tra il 1973 e il 1978, quando il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, suo principale interlocutore nella Dc, vanificarono quella speranza.

Presentato ieri in apertura della 19ª edizione della Festa del Cinema di Roma, Berlinguer – La grande ambizione, con Elio Germano nel ruolo del leader del Pci, Roberto Citran in quello di Moro, Paolo Pierobon in quello di Andreotti, Elena Radonicich in quello della moglie di Berlinguer, sarà nelle sale dal 31 ottobre, mentre il 18 novembre verrà mostrato al presidente della Repubblica Mattarella, al Quirinale, con i responsabili della Festa di Roma, la famiglia Berlinguer e il cast. "Avevo in testa questo film da quando ero sul set di Welcome Venice. Avevo letto un libro di Piero Ruzzante, onorevole padovano, sugli ultimi giorni di Berlinguer. Mi sembrava incredibile che il cinema italiano non avesse raccontato Berlinguer e quel popolo, un terzo degli italiani, che avevano vissuto intorno al Pci", dice Andrea Segre. "Non volevamo fare un biopic, raccontarne tutta la vita, e allora – spiega ancora Segre – abbiamo riflettuto su quale fosse stato il periodo più importante per lui e abbiamo pensato che fossero gli anni dal 1973 al 1978, e in particolare il 1975 e il 1976, anche per il ruolo dell’Italia in quel momento, con il mondo diviso in due".

Una ricostruzione realizzata dopo avere letto e studiato tutte le biografie e i materiali esistenti su Berlinguer, dopo avere parlato con i figli del segretario del Pci e con decine di altre persone che l’avevano conosciuto. "C’era sempre un momento, quando intervistavamo queste persone, che parlandoci di Berlinguer si commuovevano e mai – sottolinea il regista – che qualcuno ci abbia detto qualcosa di negativo su di lui". Il film fonde le immagini di finzione con quelle di repertorio che hanno una funzione – afferma il regista – sia didascalica sia poetica.

Per Elio Germano, dopo Giacomo Leopardi e Nino Manfredi, ancora una figura realmente esistita da interpretare. "Da subito con Andrea ci siamo detti di non caratterizzare esteriormente troppo i personaggi – spiega l’attore – limitandoci a qualche dettaglio che li ricordasse. Ci siamo preoccupati piuttosto di approfondire le questioni di cui erano portatori tutti gli intellettuali che sedevano ai tavoli della direzione di cui Berlinguer era il segretario. L’atteggiamento è stato di profondo rispetto e di indagine quasi da storici".

Un Berlinguer, quello di Germano, che cammina sempre con il corpo un po’ piegato, come leggermente ingobbito. "Credo molto in quella che è la comunicazione inconsapevole dei nostri corpi e in questo caso il corpo di Berlinguer, la sua prossemica involontaria, raccontava un senso di inadeguatezza, di fatica, il peso della responsabilità verso gli altri che lui sentiva. Raccontava anche di una mancanza di attenzione verso l’aspetto, con i capelli che andavano da tutte le parti".

Quanto alla “grande ambizione“ cui allude il titolo, Germano osserva: "No, non credo che sia stata piuttosto un’illusione. Era e resta un’ambizione, grande, che ci riguarda ancora tutti, perché indica una direzione verso un mondo migliore. Ci dice che la felicità non sta nella competizione, nella ricerca egoistica del bene soltanto per sé ma nella condivisione. È l’ambizione di stare meglio al mondo".