Mercoledì 24 Aprile 2024

"A quest’Italia serve un grande sogno"

Esce oggi il nuovo romanzo di Andrea De Carlo, uno sguardo sull’attualità: "Troppi desideri da realizzare subito, manca un progetto vero"

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di Matteo Massi

Cosa è successo ai sogni, dove sono andati? Non è mai bello iniziare un libro dalla quarta di copertina, ma la domanda che c’è in quella de Il teatro dei sogni di Andrea De Carlo, in uscita oggi per La nave di Teseo, è troppo interessante, per non provare a dare una risposta.

Non si sogna più in quest’Italia?

"Non è che non si sogni più, è che ci sono desideri da soddisfare rapidamente, desideri facilmente da realizzare – dice lo scrittore Andrea De Carlo – E così si finisce nel non avere più sogni a lungo termine. Sì, ormai si sogna sempre più di rado".

Quattro personaggi: due uomini (un politico e un nobile archeologo) e due donne (una giornalista della cosiddetta tv spazzatura e un’altra politica). C’è una frase del sindaco che suona decisamente a tempo in questi tempi invece così disarmonici: “Sono passato da contestatore a contestato”. Una metafora di molti politici di quest’Italia?

"Sì, decisamente. Se poi ci mettiamo che il sindaco rappresenta un movimento, con marchio registrato, che si chiama Risorgimento e che ha fatto di tutto per scacciare la classe politica che l’ha preceduto, ci sono evidenti assonanze con l’Italia attuale. Ma tornando ai sogni a lungo termine, il sindaco in questione anche se si è presentato come sognatore, non ha un sogno a lungo termine, soprattutto non ha un sogno politico, gli è capitata un’opportunità, l’ha colta. Ma chi ha un sogno, anche politico, a lungo termine, guarda lontano. Non ai prossimi cinque anni, se va bene".

Più deluso o disilluso?

"Forse entrambi. Ormai si ragiona solo a termine".

Lei sognava di fare lo scrittore e c’è riuscito. Italo Calvino firmò la quarta di copertina di Treno di panna, non proprio da tutti.

"Ma prima di arrivare a Calvino, ne ho subite di delusioni, anche cocenti. Mandavo le bozze del libro alle case editrici e tutte me le respingevano. Finché un mio amico non mi dice: perché non lo mandi a Calvino? Lo feci. Anche per sognare ci vuole molta costanza e rabbia".

Se bastassero solo costanza e rabbia, forse sarebbe anche troppo facile.

"Al mio secondo romanzo (Uccelli da gabbia e da voliera) uno degli agenti letterari più famosi ai tempi, Erich Linder, mi chiede: lei che lavoro fa? E io gli rispondo: lo scrittore. Lui mi consiglia di fare altro, perché scrivendo libri non sarei mai riuscito a mantenermi. Ci vuole anche molto coraggio nell’inseguirli i propri sogni e forse anche essere un po’ visionari. Steve Jobs s’inventò il computer in un garage e continuò ad andare dritto per la propria strada".

Lei è stato al fianco del più grande sognatore del cinema italiano, anche come suo aiuto regista: come si troverebbe Fellini in questo mondo?

"Non benissimo, probabilmente. Per lui il confine tra sogno e realtà, era davvero molto labile. Lui dialogava con i suoi sogni, li analizzava, forte anche dell’interesse che aveva per la psicanalisi junghiana, e prendevano anche forma in quei quaderni, da cui non si separava mai, e su cui disegnava le figure e le idee che gli erano apparse in sogno".

Pippo Baudo la chiamò a Domenica In nel 1984 per presentare Macno. Non sembra nemmeno vero che potessero succedere cose del genere a quei tempi in tv.

"Era un’altra tv, completamente diversa dall’attuale. Pochi canali e capacità anche di rischiare. La chiamata di Baudo per me fu una svolta. Nel libro parlo di una tv attuale che compartecipa alla diffusione di pseudo verità o post verità, come preferite".

Non le ha chiamate fake news. Ma per un uomo che arriva dal Novecento, lei ha quasi 68 anni, come è sbattere ogni giorno su parole che sono precedute sempre da post?

"Sono delle etichette, delle semplificazioni. Se parli di post verità, significa che la verità l’hai già deformata, superandola. Che non è più tale".

È il suo ventunesimo romanzo, ma non si è stancato di scrivere romanzi?

"No, restano lo strumento migliore per raccontare l’Italia, come in questo caso, perché il romanzo sta un passo indietro la cronaca, ma si deve comunque nutrire anche della cronaca. Però nel realizzarlo hai tempi di elaborazione e di riflessione diversi per narrare quello che ti sta attorno".

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