Giovedì 25 Aprile 2024

A piedi con Garibaldi: dentro la storia l’Italia

Un cammino fra Roma e Comacchio sulle orme delle camicie rosse in fuga nel 1849. Viaggio di scoperta fra identità e memoria

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di Lorenzo Guadagnucci

C’è la Francigena, antichissima strada dei pellegrini diretti a Roma; c’è la “nuovissima“ Via degli Dei, una settimana di cammino fra Bologna e Firenze, ormai la preferita dai viandanti degli anni Duemila; ci sono percorsi dedicati alla scoperta o alla riscoperta di fatti, santi e miti del paese, dalla Grande Guerra alla Linea Gotica, dai sentieri della Resistenza a quelli dedicati a San Francesco, San Jacopo o San Benedetto... Mancava Garibaldi, eroe nazionale e internazionale, e ci è voluto un inglese, sia pure residente in Italia, per “inventarne“ uno. È un’invenzione nel senso che non esisteva (e non esiste tuttora, a dire il vero) un insieme di sentieri e strade tracciate con tanto di mappe e segnali, ma il “Cammino Garibaldi“ non è altro che il vero percorso compiuto a piedi e a cavallo dal Generale con la sua sposa Anita e qualche centinaio di fedeli soldati in fuga dalla Città eterna dopo la sconfitta della Repubblica romana.

Era l’estate del 1849 e Garibaldi sconfitto, inseguito dalle truppe austriache e francesi, si mise in marcia coi suoi seguaci alla volta di Venezia, oasi di libertà e salvezza. Com’è noto, non giunse alla meta ma si fermò poco prima, nella laguna di Comacchio, dove Anita, incinta e stremata dalla malattia, trovò la morte, lasciando il compagno disperato e piangente e tuttavia capace di sfuggire alla morsa dei suoi nemici grazie al sostegno di coraggiosi patrioti, fino a trovare rifugio nell’ospitale Piemonte. Un’epopea della sconfitta da cui nacque l’epopea del Risorgimento e dell’Italia unita.

Un Cammino, dunque, alle radici della nostra storia, attraversando villaggi, paesi e piccole città; una storia che rimanda ai libri di scuola e all’iconografia di Anita morente, ma di cui in realtà si è persa la memoria. Chi saprebbe dire, anche in modo approssimativo, quali furono le tappe di quella rocambolesca fuga? E soprattutto: che cosa rimane, nell’Italia profonda, di quell’impresa e del Generale che fece l’Italia?

Tim Parks, giornalista e scrittore inglese, da quarant’anni nel Belpaese, si è messo in cammino con la compagna Eleonora, e in mezzo a mille difficoltà, facendosi strada in un territorio spesso irriconoscibile, straziato da strade, autostrade, cemento, ha cercato le tracce di quell’impresa, in apparenza ingloriosa – era una fuga precipitosa e dall’esito incerto – e della memoria lasciata da Garibaldi nell’anima di un popolo – parole di Parks – nel quale "sospetto, cinismo e complottismo abbondano". Garibaldi, dunque, come "una sfida, e perfino un’accusa, a tutti coloro cui piace pensare che il coraggio sia vano e il progresso impossibile".

A leggere il libro dedicato da Parks alla sua avventura – Il cammino dell’eroe (Rizzoli), trenta giorni a piedi nell’estate del 2019 – sembra davvero che abbiamo un grande bisogno di ristudiare la storia e tornare – letteralmente – sui nostri passi.

Ne abbiamo bisogno perché attraversando Tivoli e San Marino, Ficulle e Macerata Feltria, fino alla drammatiche e appassionanti tappe finali in Romagna, si scopre che i segni del passaggio del Generale sono numerosi, fra targhe, lapidi e monumenti, e soprattutto che la storia della colonna di fuggiaschi ci aiuta a capire qualcosa di noi italiani.

C’è la grandezza di quella formazione così eterogenea e internazionale, animata da un sovrumano idealismo – con personaggi come il prete ribelle Ugo Bassi, il capopopolo Ciceruacchio, il sardo Giovan Battista Culiolo detto Leggero, seguace di Garibaldi fin dai tempi dell’Uruguay – e c’è il sostegno garantito dai “patrioti“ che osarono disobbedire alle autorità del tempo, prevalendo alla fine sulla passività dei più e il collaborazionismo di molti delatori.

Il Generale non riuscì, lungo la strada, a rimpinguare le sue milizie, né a sollevare le popolazioni contro lo straniero, come aveva inizialmente ipotizzato, ma è un fatto che si giovò di molti sostegni, fino ad affidarsi ciecamente negli ultimi drammatici giorni della marcia, come scrisse lui stesso nelle sue memorie, a Nino Bonnet, che poi riuscì a salvargli la vita grazie alla sua rete di amici e collaboratori; il Generale abituato a comandare, ammirato in tutto il mondo, sapeva cogliere la necessità di "rimettersi intieramente all’arbitrio" di qualcun altro. Un momento di umanità e di verità, oltre la retorica e oltre il mito.

Magari presto ci sarà un vero Cammino Garibaldi, con tanto di segnali lungo strade e sentieri (dovranno essere necessariamente rossi e magari a forma di camicia), e sarà bello pensare che l’eroe nazionale sarà ricordato dai camminatori non lungo la strada di un’impresa militare vittoriosa, ma ripercorrendo i passi del suo umanissimo mettersi in fuga, da sconfitto che sfida la sorte e la storia, e alla fine salva almeno la sua vita e la sua dignità, premessa logica e storica del Risorgimento a venire. Un cammino forse poco eroico, ma molto vero. E fra i tanti incontrati sulla via, come scrive Parks, il monumento più autentico e rappresentativo sarà la statua di Cesenatico, col generale non a cavallo, scolpito con sguardo "virile e malinconico", in miracoloso equilibrio "fra carisma e impotenza". Un ritratto, tutto sommato, della storia degli italiani; della sua parte migliore.

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