Mercoledì 24 Aprile 2024

OCCHI PERSIANI SULL’ALDILÀ MILLE ANNI PRIMA

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di Fatemeh Asgari*

Che la Divina Commedia sia una ricca enciclopedia di temi mitologici greci, egiziani, persiano-ashuriti, germanici, arabi e orientali è ben risaputo. Fu Miguél Asín Palacios a porre in luce all’inizio del Novecento le numerose somiglianze esistenti tra il viaggio del poeta nei tre regni dell’aldilà e il viaggio mistico effettuato – secondo Ibn Arabi – dal Profeta dell’Islam attraverso i sette cieli. Miraj, l’opera di Ibn Arabi, fu conosciuta ampiamente anche in ambito cristiano grazie alle numerosissime versioni redatte nelle varie lingue volgari neo-latine. Ma anche nella tradizione iranica precedente a Dante il tema del viaggio nell’aldilà è ben presente, basti pensare al Viaggio di ritorno del filosofo e poeta persiano Sanai Ghaznavi.

In Persia la Divina Commedia ha sapori familiari e molto antichi. Fu scritto infatti, mille anni prima della nascita di Dante, Arda Virafnameh (Il Libro di Arda Viraf). Il racconto comincia con l’esperienza di morte da parte del protagonista Arda. Egli vede in sogno il ponte Chinwad, attraverso il quale arriverà all’Hamistagan (Purgatorio) in cui osserva le anime di coloro che non meritano né la beatitudine del Paradiso né subiscono i tormenti dell’Inferno. Accompagnato dalle guide spirituali Sorush (la Ragione) e Azar (la Luce) visita i cieli e arriva al Paradiso dove le anime dei beati vengono a salutarlo. L’inferno è raffigurato da un’orrenda cavità immersa nel buio. Nei tre giorni di viaggio Arda incontra le anime di ladri, adulteri, ingrati, avari, fattucchiere, traditori, seminatori di discordia, usurai, sovrani spietati, violenti, giudici corrotti, praticanti di magia e di aborto. In fondo all’inferno ha dimora Ahriman (Satana).

*docente di Italianistica all’università di Teheran