Il rapporto tra Europa e Stati Uniti è, ancora oggi, basato su idee e sensazioni che si costruiscono in gran parte durante l’ultimo periodo della Seconda guerra mondiale, quando gli "alleati" lottavano con successo contro la Germania nazista, l’Italia fascista e i loro alleati e in ogni Paese il pubblico cominciava a creare "immagini" dei futuri vincitori. Basti pensare a come il nostro cinema ha raccontato l’occupazione della penisola, promuovendo l’immagine di americani onnipresenti e dimenticandosi di fatto degli inglesi (che invece ebbero una parte preponderante nei combattimenti e nella gestione del territorio). Siamo tuttora dominati dagli stereotipi, e non solo noi italiani, ma buona parte del continente, abituata a raccontare la relazione con gli Stati Uniti come la relazione con un amico generoso, sempliciotto, spesso fanfarone ma sempre efficace. Sorprende un poco, quindi, sapere che molti dei presidenti statunitensi dopo il 1945 sapevano poco dell’Europa e in molti casi neanche l’avevano mai visitata, mentre il governo di Washington era di fatto impreparato agli impegni che dovette affrontare con la ricostruzione.
Il primo presidente a dover affrontare il problema europeo fu Harry S. Truman, un commerciante di abiti di Independence, nel Missouri, che si ritrovò presidente per un caso. Franklin Delano Roosevelt lo aveva scelto come vice per la sua capacità di mantenere i rapporti col Congresso, ma alla morte di Roosevelt nell’aprile 1945 Truman si ritrovò alla guida del Paese con due evidenti handicap: non essersi mai occupato di politica estera e dover affrontare il crescente ruolo degli Stati Uniti nel mondo, a fronte di un’Unione Sovietica che aveva rapidamente smesso i panni dell’alleato amichevole. Nello stesso tempo viene meno la Gran Bretagna: il governo di sua Maestà nel marzo 1947 informa Washington che intende cessare il suo impegno a sostegno del governo greco, traballante per la guerra civile tra lealisti e partigiani comunisti; la rinuncia britannica segna la politica statunitense. Nasce la dottrina Truman, cioè l’impegno Usa a intervenire in aiuto dei Paesi a rischio per "nemici interni o esterni", che è anche la premessa di un coinvolgimento americano significativo negli affari del continente.
I Paesi liberati dagli inglesi e dagli americani diventano quindi la sfera di interesse statunitense, così come quelli liberati dall’Armata Rossa a est diventano il cortile di casa dell’Urss. Di fronte, l’enorme compito della ricostruzione dell’Europa post-1945, quella che lo storico Keith Lowe ha definito "il continente selvaggio". Come intervenire nella situazione europea? Gli americani danno una risposta a questa domanda sulla base del pragmatismo che in questi anni li contraddistingue: massimizzare l’intervento di aiuto economico per rendere l’Europa stabile e difendibile e nello stesso tempo abbandonare l’idea che dare soldi, nella situazione europea del tempo, servisse a qualcosa.
Il sistema produttivo e agricolo europeo era completamente devastato e impoverito, ciò che serviva agli europei non erano soldi, bensì sementi, fertilizzanti, macchine agricole, macchine utensili, materie prime, installazioni industriali, locomotive, vestiario, viveri, mezzi di trasporto. Gli americani sono pronti a impegnarsi, ben coscienti delle conseguenze che un’Europa impoverita e isolata, sotto la minaccia dell’espansionismo sovietico, avrebbe comportato anche per gli Stati Uniti.
È così che nasce l’idea del piano Marshall: non la fornitura di finanziamenti agli europei bensì la fornitura di beni primari e di materie prime fondamentali per la ricostruzione; beni acquistati sul mercato statunitense dal governo americano e consegnati agli europei con la formula dei grants in aid: aiuti il cui utilizzo viene monitorato dal cedente insieme al ricevente. Si tratta di un’iniziativa che dal punto di vista americano implica una condizione per rendere efficace l’intervento: gli europei devono creare un unico interlocutore per negoziare gli aiuti, quindi integrare i loro sistemi economici. Il piano Marshall è il primo più potente invito all’integrazione europea che si sia mai visto nella storia del continente. Gli europei rispondono "all’europea": soprattutto francesi e britannici avanzano eccezioni, perplessità, dubbi e infine respingono l’invito americano a "fare come noi".
Si dovranno aspettare ancora 10 anni perché faccia capolino l’idea di una comunità "economica" europea; intanto gli americani avevano indicato chiaramente la strada. Truman andò avanti lo stesso col piano e con sedici distinte agenzie europee per la gestione degli aiuti, mettendo al primo posto, ovviamente, l’anticomunismo. Una fase nuova nei rapporti tra americani ed europei: i primi sorpresi e anche irritati dall’ottusità europea a non comprendere i vantaggi dell’integrazione, i secondi ben lieti che il grosso onere dell’intervento economico fosse in fondo responsabilità quasi esclusiva degli Stati Uniti. Comincia una nuova storia nelle relazioni Europa Stati Uniti, in cui il ’buono’ e il ’cattivo’ si scambieranno di posto continuamente.
1-continua