Lunedì 29 Aprile 2024

Mafia, media e poliziotti del web. Così la Cina controlla Hong Kong

Accordo tra studenti e governo, sì al dialogo. Le piazze si svuotano

DECISI Una manifestante si riposa sotto una tenda, mentre presidia un’area di fronte al quartier generale del governo di Hong Kong. Sotto, un attivista con lo scudo di Capitan America. In alto, la polizia porta via uno studente (Reuters)

DECISI Una manifestante si riposa sotto una tenda, mentre presidia un’area di fronte al quartier generale del governo di Hong Kong. Sotto, un attivista con lo scudo di Capitan America. In alto, la polizia porta via uno studente (Reuters)

BENIAMINO NATALE

PECHINO, 7 ottobre 2014 - SECONDO un vecchio detto, «una foto vale più di mille parole». È quello che devono avere pensato, in un primo momento, i censori cinesi guardando le immagini che provenivano da Hong Kong. Migliaia di giovani seduti per terra, che con cartelli e megafoni reclamano un sistema politico democratico, non potevano non far venire in mente altre migliaia di giovani: quelli che, 25 anni fa, occuparono piazza Tienanmen a Pechino, dando il via a una breve stagione di speranza, conclusasi due mesi dopo con un bagno di sangue che ha inflitto alla società cinese una ferita che ancora non si è rimarginata. Quindi: niente informazioni e soprattutto niente immagini (che sono state bloccate anche dalla popolarissima ‘wechat’, l’applicazione per i telefoni cellulari simile a WhatsApp che permette una comunicazione immediata e poco costosa e che viene usata da decine di milioni di cinesi) sui media in cinese seguiti dai cinesi. Le critiche ai manifestanti di Hong Kong sono state affidate agli editorialisti del Quotidiano del Popolo, la voce del comitato centrale comunista. Gli attivisti sono stati avvertiti con toni da Terza Internazionale che il loro movimento per «il cosidetto suffraggio universale» è «destinato al fallimento».

Poi, a partire da sabato scorso, si è assistito a un cambio di marcia: ora vengono pubblicati molti articoli di cronaca secondo i quali le proteste sono un pericolo per la prosperità dell’ex colonia britannica, ma che non ne spiegano le cause. Il cambio di registro ha coinciso con l’apparizione nelle strade di Hong Kong di ‘cittadini esasperati’ dalle proteste.

Peccato che alcuni di questi ‘cittadini’ vestissero in calzoncini e maglietta e ostentassero vistosi tatuaggi sui bicipiti; peccato che abbiano cercato di attaccare fisicamente i manifestanti, minacciando di stuprare le giovani donne presenti. E peccato che alcuni di loro, fermati dalla polizia, si siano rivelati essere membri di basso livello delle Triadi, le organizzazioni mafiose che hanno una lunga tradizione nel sud della Cina. Non è la prima volta che nella metropoli i ‘soldati semplici’ delle Triadi sono stati usati contro i critici di Pechino, e contro quelli dei tycoon locali, che sui buoni rapporti con la Cina hanno prosperato nei 17 anni trascorsi dall’handover, cioè il passaggio di potere dalla Corona britannica alla Repubblica Popolare Cinese.

In febbraio a fare le spese di queste usanze è stato il giornalista Kevin Lau, che da pochi giorni era stato licenziato dal suo posto di direttore del Ming Pao, un giornale di Hong Kong che si era distinto in una serie di battaglie civili. Tra l’altro il giornale aveva denunciato irregolarità edilizie e finanziarie di alcuni dei burocrati e dei tycoon legati a Pechino, tra cui l' attuale capo del governo locale Leung Chun-ying. Il giornale ha inoltre collaborato con i media stranieri che hanno prodotto degli scoop scomodi per Pechino, come le indagini sulle ricchezze accumulate dalle famiglie dell’ex premier Wen Jiabao e dell’attuale presidente cinese Xi Jinping.

POCHI GIORNI dopo essere stato cacciato e sostituito con un giornalista vicino a Pechino, Kevin Lau è stato aggredito e gravemente ferito a coltellate da due giovani mentre usciva da un ristorante. Le indagini hanno portato all’arresto di undici persone, quattro nella provincia cinese del Guangdong, adiacente a Hong Kong, e sette nella stessa Hong Kong. Il commissario di polizia Andy Tsang ha dichiarato che si tratta di persone «legate alle Triadi» che sembra siano state ingaggiate per aggredire Kevin Lau. Da chi, non l’ha detto.

Secondo la polizia di Hong Kong, le Triadi hanno circa 30mila membri veri e propri, cioè quelli che hanno partecipato ai riti di iniziazione e sono legati a doppio filo con i loro leader. La cosidetta ‘cerchia esterna’ di queste organizzazioni mafiose conterebbe circa 120mila persone. Le loro attività vanno dalla ‘protezione’ delle attivita' commerciali, al controllo delle assunzioni nell’edilizia – il settore trainante dell’economia del territorio insieme alla finanza – all’usura.

NEGLI ANNI Ottanta, con l’avvicinarsi dell’handover, le Triadi cercarono, probabilmente con successo, di intavolare buone relazioni con i nuovi padroni. In una dichiarazione rilasciata nel 1984 l’allora leader cinese Deng Xiaoping ebbe a dire: «Le società

nere (mafiose) di Hong Kong sono molto potenti. Più potenti delle loro equivalenti in altri posti. Chiaro, non tutte le società nere sono oscure. Tra di loro c’è tanta brava gente».

Nel 1993 Tao Siju, allora ministro della Pubblica sicurezza (cioè dell’Interno) cinese, si spinse ad affermare che alcuni membri delle Triadi sono «cittadini patriottici» che «devono avere un ruolo nella costruzione della Nazione». Secondo Regina IP, deputata al Parlemento di Hong Kong per un partito filo Pechino, la zona di Mong Kok, nella quale si sono verificate violente aggressioni contro i manifestanti è «ben conosciuta per la presenza della Triadi».