Roma, 22 maggio 2024 – Il giorno dopo la richiesta del procuratore Khan alla Corte penale internazionale dell’Aja di spiccare un mandato di arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro della difesa Yoav Gallant e tre leader di Hamas, Gerusalemme sembra sempre più determinata a perseguire i suoi obiettivi. Chi sembra avvantaggiarsi della situazione è proprio Bibi, come viene chiamato nel Paese il capo del governo. Gli Stati Uniti hanno preso fermamente le parti di Israele, mentre la Cina ha chiesto la "fine della punizione collettiva del popolo palestinese". A dimostrare, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, che sulla pelle dei palestinesi si giocano ben altri tipi di battaglie.
Intanto, Netanyahu, per il momento rimane in sella. "Il governo Netanyahu – spiega l’ambasciatore Stefano Stefanini, diplomatico di lungo corso con una grande esperienza in tema di istituzioni internazionali – era sicuramente in difficoltà. Ma non direi che fosse sul punto di cadere. Qualora i ministri Yoav Gallant e Benny Gantz dovessero uscire dall’esecutivo avrebbe comunque la maggioranza. Mi pare però che l’azione promossa dal Procuratore generale della Corte penale internazionale abbia avuto proprio l’effetto contrario, ricompattando tutto il fronte politico israeliano".
L’unica pressione che Gallant e Gantz fanno in questo momento riguarda gli ostaggi. Ieri sera il gabinetto si è riunito nuovamente, dopo che nell’ultima assise tenutasi sabato scorso, il premier avrebbe respinto le proposte del team negoziale rimproverandolo di non sapere condurre le trattative. La strada è tutta in salita e la decisione dell’Aja non ha fatto che rendere le cose ancora più difficili. Il portavoce del ministro degli Esteri del Qatar, Majed al-Ansari, ha ammesso che i negoziati fra Hamas e Israele per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi sono "quasi a un vicolo cieco". E dove non arriva la politica, difficilmente potrà farlo la legge. "La decisione della Procura della Corte penale internazionale – spiega ancora l’ambasciatore Stefanini – è un’operazione politica che cerca di presentare un’equazione per la quale Israele è uguale ad Hamas. Ed è sbagliata. Si riferisce ad azioni diverse in tempi diversi. E non aiuta sicuramente la pace. Anzi, è un’azione molto infelice perché arriva in un momento in cui le pressioni internazionali stavano cercando di tenere a freno Israele per quanto riguarda l’operazione a Gaza. Invece così hanno fornito a Netanhayu una doppia scappatoia, dentro e fuori casa".
Gioca a favore del leader israeliano anche l’appoggio degli Stati Uniti, che hanno criticato con fermezza la decisione della Corte penale internazionale. L’ambasciatore Stefanini ritiene che la posizione espressa da Washington non cancelli la diversità di vedute tra Gerusalemme e la Casa Bianca sulle operazioni militari. Lo conferma il fatto che, pur di attaccare Rafah, Israele sarebbe disposta a mettere in campo un’operazione più light. Fonti di stampa americane hanno rivelato che il governo Netanyahu avrebbe già trasmesso i piani di un’operazione "Rafah limited", che sarebbero stati approvati dagli Stati Uniti e che prevederebbero operazioni chirurgiche a fronte di un limitato numero di civili coinvolti. L’esecutivo al momento ritiene di aver sgominato il 75% della potenza militare di Hamas. L’operazione a Rafah, nelle speranze di Gerusalemme, sarebbe il colpo di grazia all’organizzazione terroristica. Ma rimangono due grossi nodi. Il primo è quello del fronte libanese, dove Hezbollah ha una capacità militare e logistica di gran lunga superiore a quella sulla Striscia. C’è poi, penoso, il tema del dopo. Netanyahu ha molte idee su come proseguire la guerra ma nemmeno una per quando il conflitto sarà finito. La decisione dell’Aja ha diviso ancora di più in tifoserie chi doveva favorire il processo di pace.