Martedì 30 Aprile 2024

I segreti dell’hacker di Putin: "In guerra contro gli Usa"

Intervista a 'PhasaByte' del collettivo russo Apt 28. "Prima del voto americano usciranno nuovi pesanti scoop sulla Clinton e i suoi finanziatori sospetti"

Un hacker (Olycom)

Un hacker (Olycom)

Roma, 22 ottobre 2016 - E' una guerra silenziosa giocata nei meandri della rete. Le carte sono scoperte: Usa e Russia si stanno dando battaglia a colpi di informazioni trafugate da eserciti di hacker imprendibili e senza volto. Nelle settimane scorse è toccato a Hillary Clinton finire nel mirino dei pirati virtuali con diverse mail imbarazzanti diffuse da Wikileaks.   Washington ha annunciato una controffensiva, ma ieri gli utenti della costa Est degli Usa si sono svegliati scoprendo che buona parte dei più popolari siti Internet erano bloccati per un altro attacco, probabilmente commissionato sempre da Mosca. Ma dove si nascondono gli hacker al soldo delle potenze mondiali? Intercettarli è quasi impossibile, tranne nel deepweb dove al termine di una faticosa ricerca e qualche contatto giusto, siamo riusciti a imbatterci in ‘PhasaByte’ del collettivo russo Apt 28, gruppo protagonista in passato di clamorosi attacchi alle infrastrutture informatiche americane.

Dove si trova in questo momento? Il suo Paese natale è la Russia? «Potrei essere ovunque: in Romania, Bulgaria, Canada o dietro casa tua. Non ha importanza... comunque sono russo, sì...».

Il governo vi assolda in gruppo? «Lavoro spesso col collettivo Apt 28, ma in realtà nessuno di noi si è mai incontrato fisicamente: io non so che faccia abbiano i miei ‘colleghi’. Siamo i migliori ed è normale che il nostro Paese si serva di noi. Usiamo solitamente linguaggi binari che solo chi conosce il russo può decifrare». 

Su molti di voi c’è una taglia: quello che fate è sostanzialmente spionaggio. «Aiutare un governo non è reato, molte volte veniamo chiamati solamente per migliorare i sistemi di difesa dei ministeri più importanti. È vero che da anni c’è uno grande scontro tra Usa e Russia, ma non è una cosa nuova. Snowden ha rivelato per esempio come la Nsa sorvegliava i leader mondiali, quindi l’America ha poco da insegnare e rimproverare. Lo fanno da sempre, è solo una forma di spionaggio più moderno».

Che cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo tipo di guerra? «Mosca e Washington investono miliardi sul furto di dati e informazioni. Qui parliamo di eserciti di hacker, una cosa mai vista prima, e non è escluso si passerà ad azioni più mirate e aggressive. Se gli Stati Uniti hanno annunciato pubblicamente una controffensiva vuol dire che sanno dove andare a colpire e sicuramente andranno a reperire informazioni che danneggeranno il mio Paese dal punto di vista economico, come per esempio il patrimonio di Putin, i suoi rapporti scomodi con la Siria e molto altro».

Che canali usate per diffondere le notizie sottratte? «Wikileaks è stato uno spartiacque epocale: in passato i dati riservati per screditare l’avversario li consegnavamo al committente che poi li diffondeva ai quotidiani. Ora si pubblica tutto sul sito di Assange e non c’è più nessun filtro».

Qual è stato l’ultimo colpo del vostro collettivo?  «Poche settimane fa su Wikileaks sono apparsi i documenti sul Partito democratico e i discorsi a pagamento di Hillary Clinton per i colossi di Wall Street. Forse è stato il mio collettivo o forse un altro, io non posso dirti altro».

Gli attacchi hacker si moltiplicano: cosa dobbiamo aspettarci in futuro? «La Russia ha fretta di trovare informazioni destabilizzanti. Mosca sperava di avere avvantaggiato Trump con le mail riservate di Hillary rubate dall’hacker Guccifer, ma poi il repubblicano si è bruciato da solo. Prima del voto usciranno altri scoop pesanti, forse relativi ai finanziamenti ottenuti dalla Clinton per la campagna elettorale da parte di personaggi poco raccomandabili. E non sono esclusi colpi di scena il giorno delle elezioni americane. Non so dire se qualcuno dalla Russia lo farà e se sarà possibile realmente alterare il voto, ma sicuramente ci proveranno perché Hillary è vista come una minaccia. Obama era per la diplomazia, lei no».