Giovedì 7 Novembre 2024
ALDO BAQUIS
Esteri

La guerra si allarga, la Cisgiordania ribolle. Fucili ai coloni ebrei

Migliaia di armi leggere e dieci super mitragliatrici sono state consegnate a ‘squadre locali di pronto intervento’

Roma, 29 ottobre 2023 – La coreografia è la più bucolica che si possa immaginare. Un villaggio della Samaria, la Cisgiordania settentrionale, con contadini impegnati nella raccolta delle olive. Ma poi, improvvisa, si scatena la violenza. L’agricoltore Bilal Muhamed Saleh, 40 anni, è steso sul terreno, con un colpo di arma da fuoco al petto. Secondo i media palestinesi è stato ucciso ieri da due "coloni religiosi" e i suoi funerali si sono trasformati in una grande manifestazione di protesta: contro Israele e in sostegno di Hamas e della popolazione di Gaza. Negli ultimi giorni i servizi di sicurezza di Abu Mazen stentano a mantenere il controllo della situazione, di fronte alla collera popolare.

La Cisgiordania si infiamma
La Cisgiordania si infiamma

A Ramallah, migliaia di persone sono sfilate a sostegno di Gaza. A Nablus migliaia di dimostranti hanno cercato di appiccare il fuoco alla Tomba di Giuseppe (il biblico consigliere del faraone di Egitto), luogo di preghiera frequentato da ebrei nazionalisti e teatro di frequenti violenze. Ieri, da Gaza, il portavoce dell’ala militare di Hamas, Abu Obeida, ha lanciato un appello ai giovani della Cisgiordania affinché si uniscano alla lotta.

La guerra a Gaza, avvertono i servizi di sicurezza israeliani e palestinesi può in effetti estendersi anche alla Cisgiordania. I coloni (sono 500mila) sono stati messi in stato di allerta, perché i loro insediamenti (in particolare i più isolati) rischiano di essere attaccati e sopraffatti da folle di palestinesi. Nelle ultime settimane ai coloni (molti dei quali sono già armati) sono stati consegnati 3mila fucili e dieci mitragliatori pesanti a beneficio di ‘squadre locali di pronto intervento’ organizzate in ogni insediamento per reagire a fuoco già nei primi minuti in caso di un attacco. L’esercito sta compiendo uno sforzo molto grande per proteggerli.

In Cisgiordania sono schierati 29 battaglioni, 23 dei quali di riservisti, per soffocare sul nascere una sollevazione armata di palestinesi mentre dall’estero il numero 2 di Hamas, Salah el-Aruri, cerca di moltiplicare gli attacchi armati contro i coloni e contro i soldati. Questa settimana el-Aruri (col leader della Jihad islamica, Ziad Nahale) era a Beirut, dal leader Hezbollah Hassan Nasrallah per stringere attorno a Israele una sorta di "cappio", su iniziativa degli strateghi di Teheran. I leader di Hamas lo chiamano il ‘saldamento dei fronti’, ossia Gaza-Cisgiordania-Libano e – possibilmente – anche la popolazione araba in Israele. Al-Aruri è stato ricevuto dal presidente del Parlamento Berri.

Dall’inizio del mese gli Hezbollah hanno cercato di impegnare l’esercito israeliano lanciando attacchi quasi quotidiani contro la alta Galilea. Lanci di razzi, droni e tentativi di incursioni di commando. Israele ha allora sgomberato i civili che abitano in una fascia profonda cinque chilometri a ridosso dal confine. L’esercito, che è mobilitato attorno a Gaza, è stato costretto a inviare importanti rinforzi al confine nord. Ma da parte degli Hezbollah la pressione su Israele è stata finora misurata. Anche Nasrallah si rende conto che se la situazione uscisse di controllo la reazione di Israele su Beirut sarebbe devastante. Un dirigente di Hamas, Ghazi Hammad, ha convenuto che la decisione di attaccare Israele il 7 ottobre è stata presa autonomamente a Gaza. Ha espresso apprezzamento per l’impegno degli Hezbollah ma, in un’intervista, ha anche lasciato trapelare delusione: "Abbiamo bisogno di uno sforzo maggiore. Ci aspettiamo da loro qualcosa di più".

Intanto pressioni internazionali sono esercitate sul facente funzione di primo ministro libanese, Najib Mikati affinché l’esercito nazionale mantenga la calma al confine con Israele e faccia opera di contenimento degli Hezbollah. Ne va, gli è stato detto bruscamente, del futuro del suo Paese.

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