Boni
Il Paese dei cedri, investito dall’Armageddon israeliano, l’attacco finale contro Hezbollah, adesso è a un bivio. Il partito di Dio non è forse del tutto battuto, ma è in ginocchio, Tel Aviv ha neutralizzato il suo leader storico, Hassan Nasrallah, il burattinaio che guidava il terrore dai bunker, e i suoi vice. I pasdaran iraniani minacciano, invocano vendetta, ma per ora sono solo slogan. Questo recente scenario che si porta dietro migliaia di vittime tra civili e miliziani può consentire al Libano di avviare una fase di svincolamento progressivo dal giogo del Grande satana sciita o rimanere in un limbo che fino a oggi, nella logica di ostaggio delle milizie, lo ha portato al fallimento economico e politico. La caduta di Hezbollah – sotto le bombe e i razzi di Tel Aviv dopo mesi di schermaglie più dimostrative che altro – cambia le carte in tavola.
I miliziani del Partito di Dio per decenni hanno giustificato la propria aggressività e la propensione ad armarsi fino ai denti, oltre che il welfare privato alla popolazione del Sud, con la narrativa di proteggere il Paese dalle aggressioni israeliane. Oggi, come si è visto, lo scudo non è in grado di funzionare se Tel Aviv fa sul serio. Ecco perché anche la popolarità di Hezbollah si sta annacquando. Siamo a un passaggio storico possibile, ma serve cautela nel ragionamento, perché in Medio Oriente nulla è mai come sembra. Gli attacchi e la soluzione finale contro Hezbollah quasi in diretta globale hanno messo in luce le fratture in seno al Paese dei cedri. C’è indignazione, ma anche festa. A Tiro c’è chi ha esultato, così in alcuni villaggi del Sud dove la vita non valeva più nulla sotto le bombe israeliane. A Idilib, nel Nord della Siria, dove i miliziani appoggiano la repressione del presidente Bashar al Assad, hanno cantato nelle strade.
Idem i sunniti di Tripoli, nel nord libanese. "Il Libano ha l’occasione storica di riunirsi finalmente sotto la bandiera nazionale e non dipendere più da forze esterne come l’Iran – riflette il professor Bernard E. Selwan Khouri, responsabile del Center for oriental strategic studies, un polo di analisi con sedi a Roma e Beirut –. Hezbollah ha perso l’occasione di essere parte integrante dello Stato. Ora serve un passo verso un nuovo futuro, che però ha necessità di un intervento della comunità internazionale per evitare, inoltre, che Israele si allarghi entro i confini libanesi. Le stesse milizie sono al bivio: virare verso la sovranità nazionale o continuare a essere pedina sullo scacchiere guidato dall’Iran, che però pare sfilarsi dal gioco. Inoltre la base sociale si sta dissolvendo, migliaia di sciiti sono in fuga e non si sentono più protetti dal Partito di Dio".
Mentre ancora fumano le macerie dei palazzi colpiti, centri operativi dei guerrafondai Hezbollah, aleggia il grande interrogativo: l’Iran attaccherà Israele? Il professo Bernard Selwan non ha certezze ma sensazioni che gli rimbalzano da Beirut. "Poteva farlo fino ad oggi in condizioni più favorevoli e non lo ha fatto, ha preferito manovrare Hezbollah, gli Houthi in Yemen, i gruppi iracheni e siriani in funzione anti israeliana. Ho la sensazione che Teheran abbia già abbandonato il suo alleato principale sconfitto".
Eppure l’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema iraniana, giura vendetta con lo slogan "la resistenza vincerà". Il professor Selwan è scettico: "È una reazione di basso livello non accompagnata da azioni concrete". A Beirut, infatti, ci sono scene mai viste. Truppe di Hezbollah fuggono dalla Dahiye, la roccaforte del movimento, senza alcuna protezione dell’Iran. "Hezbollah è polticamente battuto – spiega Andrea Margelletti, presidente del Cesi, Centro studi internazionali – e questo cambierà gli equilibri nel Paese dei cedri. I vertici storici del partito sono stati spazzati via e una struttura militare in questa situazione fa fatica ad esistere. Il consenso della popolazione ne risentirà con effetto dall’alto al basso considerando il fatto che i contraccolpi incideranno sul welfare. E su reazioni forti da parte di Teheran nutro dubbi, anche se la situazione è in evoluzione. Credo più probabile una parziale entrata in Libano delle forze israeliane dell’Idf non per una invasione vera e propria, ma per prendere possesso di alcuni obiettivi strategici". Un’altra notte intanto è trascorsa, Beirut brucia ancora.