
Roma, 14 novembre 2023 – Proteggere gli ospedali, ma anche condannare Hamas. I 27 paesi dell'Unione europea all'unanimità ieri hanno siglato una dichiarazione comune sulla guerra a Gaza, chiedendo per l'ennesima volta "pause umanitarie immediate" per permettere l'ingresso di aiuti nella Striscia. "Queste pause devono essere significative, annunciate con largo anticipo e definite nel tempo", ha detto l'Europa. E la ministra degli esteri francese Catherine Colonna ha cercato di aggiungere qualcosa in più: che le pause siano "immediate e di lunga durata".
Pause chiede anche il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, come d'altronde nei giorni scorsi aveva evocato la Casa Bianca. Tutta la diplomazia si è mossa, sapendo che l'urgenza di portare aiuti alla popolazione di Gaza che non c'entra con Hamas è irrimandabile.
Oltre l'urgenza, c'è una riflessione ulteriore che si potrebbe fare. In questo appello internazionale si nasconde la verità: ovvero quanto flebile sia la speranza che prima o poi tacciano le armi, che gli ostaggi israeliani siano liberati e che il popolo palestinese non soffra l'inutile e insopportabile massacro, innescato dal pogrom commesso dai terroristi di Hamas e della Jihad islamica il 7 ottobre.
Flebile, perché quando si parla di "pause umanitarie" si dà per scontato che tutto ciò che possiamo attenderci è una sospensione temporanea della disumanità che da oltre un mese in quelle terre pare sia la normalità. La disumanità di chi ha ucciso e violato uomini, donne e bambini nei kibbutz, la disumanità delle bombe che Israele ha lanciato per colpire Hamas ma che inevitabilmente - sono bombe, che altro - commettono stragi di civili. Ogni dieci minuti muore un bambino, è stata la contabilità dell'orrore emersa da Gaza. Pause umanitarie, pause dalla guerra, dai bombardamenti, dall'odio, dalla ferocia. Solo una pausa perché siamo incapaci di pretendere il contrario. Che l'eccezione - la pausa al vivere civile – sia la disumanità. Nella Storia dovremmo credere che l'eccezione sia stata la Shoah e le guerre, che l'eccezione sia l'oppressione di popoli e famiglie. Ma forse siamo illusi. E la diplomazia internazionale è troppo disillusa, sfinita, per credere ancora che l'obiettivo sia mettere a tacere le armi, e non solo metterle in pausa.