
Michele Brambilla
Non c’è più la Bologna di una volta! È il ritornello che si sente quasi ogni giorno, e soprattutto ogni sera, nelle piazze, nei bar, nelle case dei bolognesi. E perfino sui social. Ieri abbiamo chiesto, sulle nostre pagine Facebook e Instagram, di commentare l’intervista a Francesco Guccini che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi: un’intervista in cui il Maestrone, parlando della scomparsa di Paolo Pagani della Trattoria Vito, ricordava le notti in osteria con Lucio Dalla, Luca Carboni, e tanti altri artisti e amici. "Sono finiti da un pezzo, quei tempi!", "E com’erano belli i nostri anni Settanta e Ottanta, a Bologna!". Non ce n’è uno che non abbia detto cosi.
E sarà anche vero che certe notti non ci sono più. Quando Vito, chiusa la cucina, cercava di far sloggiare tutti gridando "Signori si chiude", Jimmy Villotti rispondeva "Signori si nasce". E la combriccola restava lì fino alle quattro del mattino a cantare, bere, giocare al tarocchino e soprattutto a cazzeggiare, perché il cazzeggio, il parlar così per niente, è l’anima di Bologna e non va confuso con l’ozio improduttivo, anzi: è cazzeggiando che nascono le idee geniali e la canzoni di successo. Era l’epopea dei biassanot, i tiratardi, oggi in gran numero rintanati in casa. "Bologna non è più viva, accogliente, allegra, pulita e sicura come quei tempi", dicono in tanti: e parlan di tempi in cui tutto il mondo celebrava questa città come culla e dimora del saper vivere.
E ci sarà senz’altro tanto di vero, in questi ricordi.
Però, però... Però bisogna stare attenti alla nostalgia, perché già nel 1972 Guccini scrisse la Canzone delle osterie di fuori porta: "Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta Ma la gente che ci andava a bere fuori e dentro è tutta morta Qualcuno è andato per età, qualcuno perché già dottore E insegue una maturità, si è sposato, fa carriera ed è una morte un po’ peggiore".
Non sono (purtroppo) né nato né cresciuto a Bologna. Ma qui vivo da tre anni e da forestiero, anzi da immigrato, posso assicurare che per chi vien da fuori questa città resta la meraviglia che aveva immaginato. L’amore per la vita, il saper sdrammatizzare, il saper essere leggeri, il piacere dello stare insieme e quel cazzeggio che, per fortuna, non insegue una maturità.
E l’accoglienza. Paolo Pagani, il figlio di Vito scomparso martedì scorso, era un segno di questa città che abbraccia. Sono entrato tante volte da solo, nella sua osteria, ma non ho mai mangiato da solo. Questa è Bologna.
Spesso la bellezza che si ha ogni giorno davanti agli occhi finisce con il passare inosservata, e per apprezzarla ci vuole un occhio nuovo. Cari bolognesi, siate orgogliosi della vostra (nostra) città.