Sabato 27 Aprile 2024

La follia di dividersi sul clima

Le alluvioni sono una tragedia che devasta il territorio e la vita delle persone. Per affrontarle, servono ricostruzioni materiali e morali, ma anche un cambio di prospettiva: pensare al clima come tema di salute pubblica, welfare e lavoro. Per le vittime, per il welfare e per il lavoro, è necessario investire sulla prevenzione

L'editoriale di Agnese Pini

L'editoriale di Agnese Pini

Mentre scriviamo, si aggiorna il bilancio dei morti dell’alluvione in Toscana: otto, quasi tutti anziani. Morti di paura, morti folgorati, morti seppelliti dal fango, morti travolti dal torrente mentre cedeva il ponte sotto le ruote della loro auto. I morti erano stati tredici nelle Marche (alluvione di settembre 2022), sedici in Romagna (alluvione del maggio scorso). E poi ci sono gli sfollati, ci sono i paesi isolati, le infrastrutture distrutte, le frane che imprigionano e dividono, le aziende che hanno perso tutto.

C’è la ricostruzione materiale - il cui costo per la Toscana è già stimato intorno ai 300 milioni di euro - e c’è la ricostruzione morale, che non ha cifre e non ha dati, ma ha il dolore e la fatica di chi, perdendo tutto, perde anche i ricordi: e quindi il passato, e quindi gli affetti. Se per le ricostruzioni materiali servono anni, per quelle morali spesso non basta una vita.

Le alluvioni non sono diverse dalle guerre per la devastazione e il trauma che si portano dietro, e sono una flagellazione che ormai, a casa nostra, fa statistica, eccezionalmente drammatica: non solo per i numeri (più di 500 eventi climatici estremi da inizio anno, e più di 6 miliardi persi nel 2022, dati Coldiretti), ma anche per la sistematicità con cui questi eventi travolgono aree sempre più vaste.

E allora? Una volta per tutte e senza altri ritardi, proviamo a cambiare prospettiva, a uscire dalla logica delle contrapposizioni - di qui gli ecoattivisti, di là i negazionisti - rinunciamo al dibattito da curva da stadio in cui siamo perennemente immersi, dalle politiche di governo alle guerre. Pensiamo al clima come un tema di salute pubblica, welfare e lavoro. Lo fanno già in mezza Europa, e noi invece siamo ancora indietro anni luce nel dibattito culturale, politico e ideologico su un tema che intanto ci ha già travolti.

Facciamolo per le vittime, che in tutte le ultime calamità naturali sono quasi sempre anziani. I più esposti, i più indifesi, i più deboli.

Facciamolo per il welfare, perché ogni euro non speso in prevenzione è un euro speso in ristori e ricostruzione.

Facciamolo per il lavoro, perché investire sulla ricucitura del territorio porta sviluppo e consente alle aziende di non finire in ginocchio e disperdere energie, patrimonio, tempo.

La salute economica e sociale di un Paese, lo aveva ben spiegato Renzo Piano, si misura dall’attenzione per il paesaggio. Non dalla tempestività con cui si inviano sui luoghi delle tragedie le colonne della Protezione civile. Arrendersi all’idea che di fronte alla furia del cielo non c’è soluzione, significa arrendersi al futuro: il nostro.