Domenica 28 Aprile 2024

Donne e violenza, parole sbagliate

Le parole del presidente del senato La Russa sulla vicenda del figlio sono sbagliate, e diventano un peso non solo per la vittima (ancora presunta) ma per il dibattito pubblico

Agnese Pini

Agnese Pini

Bologna, 9 luglio 2023 – C’era già cascato Beppe Grillo, due anni fa. Ci è cascato venerdì il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Per difendere il figlio accusato di violenza sessuale - esattamente come fece il fondatore del Movimento 5 Stelle - si è lasciato sfuggire parole che non possono più appartenere al discorso pubblico, soprattutto quando a parlare è la seconda carica dello Stato. Cuori di padre, che però dovrebbero imparare a tacere, scriveva ieri su queste pagine il nostro Davide Rondoni. La virtù del silenzio di fronte alla giustizia, anche e soprattutto quando si indossano fasce istituzionali, è un valore ancora poco interiorizzato dalla nostra classe dirigente.

C’è una formula magica che, seppure possa suonare un po’ vuota e fredda, è utilissima e salvifica di fronte al rischio di imbarazzanti figuracce: “La magistratura farà il suo corso, ho fiducia nella giustizia”. E invece no: né Grillo né La Russa si fidano evidentemente della giustizia e così “interrogano” la propria progenie, diventando al contempo pubblici ministeri, giudici e avvocati. Oltre che, ovviamente, padri. Altro che separazione delle carriere. Ad ogni modo spiace, ogni volta, dover ripartire da zero, dalle basi.

Le basi ce le dà la legge italiana, che con ogni evidenza è molto più avanti della consapevolezza politica e istituzionale del Paese quando parliamo di violenze sessuali. Quando parliamo di chi è vittima e di chi è carnefice, di quello che si può e che non si può fare con il corpo altrui, di che cosa è e di che cosa non è il consenso. In Italia il limite di tempo per denunciare una violenza sessuale è di dodici mesi: si sta discutendo sull’opportunità di allungare ulteriormente i termini, e questo proprio in virtù della difficoltà e della delicatezza che ci sono dietro tal genere di denunce. Abusare di qualcuno che si trovi sotto l’effetto di alcol o di stupefacenti è un’aggravante per lo stupratore, non certo un’attenuante a sfavore di vittima. Preciso l’ovvio – che evidentemente ovvio non è – per arrivare al punto: la magistratura, come recita la formula magica, farà il suo corso. Ma intanto il verdetto – “mio figlio è innocente” – emesso dalla seconda carica dello Stato, l’istituzione più rappresentativa del Paese dopo il Presidente della Repubblica, diventa un peso di insopportabile gravità non solo per la vittima, pur ancora presunta, ma anche per un dibattito pubblico che rischia di trovarsi catapultato indietro di decenni.