Venerdì 26 Aprile 2024

Da Satispay a Scalapay: quali sono gli 'unicorni' italiani (e quanto valgono)

Ecco le grandi startup italiane private, quindi non quotate, da oltre un billion

Alberto Dalmasso, founder di Satispay (Imagoeconomica)

Alberto Dalmasso, founder di Satispay (Imagoeconomica)

“Non è detto che non esista. Forse è diverso da come lo rappresentano questi libri", racconta Guglielmo al fido Adso, a proposito dell'unicorno, ne 'Il nome della rosa'. Perché, come da qualche anno a questa parte avviene nel gergo neo-imprenditoriale, l'animale del bestiario che il novizio stava sfogliando potrebbe essere semplicemente un simbolo, una metafora di tutto ciò che è raro e irraggiungibile. Un mito, insomma, che oggi ci parla di aziende come la piemontese Satispay. La quale, valicando la fatidica quota di un miliardo di dollari di valutazione, è appena entrata, appunto, nel ristrettissimo club delle società 'unicorn'. Già, perché a questo (con qualche corollario) si riferisce la fortunata metafora immaginata nel 2013 dalla fondatrice di Cowboy Ventures, Aileen Lee, in un articolo apparso sulla rivista online TechCrunch. Equiparando le startup private (e quindi non quotate) di oltre un 'billion' di valore a bestie tanto rare quanto difficilmente afferrabili. Soprattutto, viene da dire, in un'Italia che non ne sembra proprio la terra d'elezione. Ma andiamo con ordine, partendo dalla descrizione del campo di gioco. Che, in larga misura occupato da aziende a stelle e strisce ma presidiato pure da diverse rappresentanti di grandi nazioni europee, è quello delle tecnologie digitali, molto spesso sotto forma di app. Ed è qui che, non trattandosi di moda, cibo o manifattura, casca l'unicorno. Perché in Italia, pur con tutto il parlare di acceleratori, mentori e angeli, sul fronte delle 'new companies' digitali siamo davvero molto indietro. Prova ne sia il fatto che, nella lista ufficiale degli 'unicorns' stilata da CBInsight solo due mesi fa, i difensori dei nostri colori erano appena tre. Uno sicuro (Scalapay), uno fondato in Italia ma non da un italiano (Depop) e uno (Yoox) forse troppo 'anziano' per essere considerato una vera e propria startup ma, in ogni caso, ampiamente sopra la fatidica asticella del miliardo. Nel mondo, invece, gli unicorni ad agosto erano 1.194 (per un valore complessivo di 3.820 miliardi di dollari), 629 dei quali negli Stati Uniti, 173 in Cina e 68 in India. Seguiti a buona distanza da Israele (che ha però un miliardo e mezzo di abitanti in meno rispetto alla Cina), con 45, Regno Unito (44), Germania (29) e Francia (25). Ma anche, ad esempio, da Svezia e Spagna, con 8 e 4 a testa. Parlando di settori, poi, in testa alla graduatoria ci sarebbe il fintech (quello dei cuneesi di Satispay), con 242 unicorni, tallonato dai software e servizi per il web (222). Poi, l'e-commerce (107) e molti altri, compresi lo 'healthcare' e il comparto legato alle intelligenze artificiali. Tornando al Belpaese, invece, per ora dobbiamo accontentarci (si fa per dire) di commentare l'exploit di Satispay, il rivoluzionario sistema di pagamenti che, con un ultimo round di investimenti da 320 milioni, ha fatto il passo decisivo per entrare nella cerchia dei cavalli cornuti. E che può vantare oltre 3 milioni di utenti e 200mila esercenti convenzionati, tra i quali spiccano Esselunga, Carrefour, Autogrill, Trenitalia, Tigotà e pure Eataly. Se si chiede conto delle ragioni di questo successo a uno dei fondatori, quell'Alberto Dalmasso che, nato a Cuneo, ha parlato di recente della nascita del suo progetto a pochi chilometri da casa, alla Italian Tech Week di Torino, le risposte, poi, possono essere sorprendenti. Perché la parola più utilizzata da Dalmasso, arrivato al culmine di quel percorso di crescita ideale di ogni startup e pronto, ora, a scegliere fra vendita e quotazione, è 'trasparenza'. In una accezione che fa rima con 'chiarezza' e con la rivendicazione di una 'convenienza' estremamente superiore a quella delle normali carte di credito. Dal momento che, sotto i 10 euro di importo, Satispay non fa pagare commissioni e che, al di sopra, si pagano sempre e solo 20 centesimi, indipendentemente dalla cifra sborsata. Gli altri campioni nostrani, come detto, sono poi Scalapay, la app per pagamenti milanese fondata nel 2013 da Simone Mancini e Johnny Mitrevski e capace, lo scorso febbraio, di guadagnarsi il titolo di unicorno grazie a un finanziamento da 497 milioni di dollari arrivato, tutto in una volta, da fondi come Tencent e Willoughby Capital, e, volendo, Depop, il servizio e-commerce nato nel 2011 a Roncade (Tv) da un'idea di Simon Beckerman e germogliato attraverso il locale incubatore H-Farm. Poi, volendo, ci sarebbe anche la King di Riccardo Zacconi, la società di programmazione che ha dato vita a Candy Crush ma che, sfortunatamente, è stata fondata all'estero. E meno male, a questo punto, che a farci ben sperare sono i cosiddetti 'soonicorns', gli unicorni che presto saranno. Tra i quali, sempre parlando di Italia, un rapporto di i5invest di inizio anno indicava Casavo, piattaforma online che semplifica la compravendita di immobili, la Musixmatch di Max Ciociola e Prima Assicurazioni. Mentre il Club degli Investitori, considerando anche le società fondate da italiani ma non basate in Italia, ha stilato una lista di 15 'soonicorn', tra i quali si citano anche Yolo, Genenta Science, Credimi, Enthera, Roboze, D-Orbit, Everli, Planet Smart City, Newcleo, Soldo e MMI.