Sabato 27 Luglio 2024
LUCA RAVAGLIA
Economia

Scuola, precari senza stipendio da mesi. Una prof: “Non sono più in grado di fare la spesa”. Cosa sta succedendo

I sindacati: “La problematica è nota da anni, ma il quadro è in costante peggioramento soprattutto per i giovani docenti e personale Ata”

Scuola, i precari senza stipendio per mesi

Scuola, i precari senza stipendio per mesi

Roma, 19 dicembre 2023 – Il cattivo esempio. Anche lo Stato può rivelarsi un pessimo datore di lavoro per decine di migliaia di lavoratori italiani. Il tema non è purtroppo nuovo e in passato ha portato a serissimi problemi legati a settori diversi, a partire per esempio da quelli delle aziende che a cavallo tra pandemia ed esplosione dell’inflazione, si erano ritrovate strette nella morsa delle dilazioni dei pagamenti relative alle opere realizzate, in certi casi arrivate a costare il fallimento dell’attività. Il tema però è ben più vasto e riguarda anche i singoli lavoratori, a partire da quelli più vulnerabili.

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Oltre due mesi senza stipendio

In queste ore si sta alzando la protesta dei precari del mondo della scuola, un esercito di oltre 250.000 persone costrette a fare i conti con criticità di vario genere. In particolare i casi più gravi riguardano gli insegnanti impiegati in ogni ordine e grado di scuola, che accettano contratti brevi e brevissimi, di poche settimane se non addirittura di qualche giorno: “Numerosi di noi – è la denuncia di un’insegnante a tempo determinato di Cagliari diffusa in queste ore - sono senza stipendio da mesi. Parliamo di arretrati di settembre, ottobre e novembre, per non parlare di dicembre. La protesta è montata sul web nei gruppi della piattaforma ‘Noipa’ che gestisce i pagamenti dei pubblici dipendenti. Una disfunzione che si registra da lunga data, ma che quest’anno ha raggiunto dei picchi intollerabili. Si dimentica che i supplenti non sono volontari e lavorano per vivere”. La questione è ben nota anche ai sindacati: Cgil, Cils e Uil in queste ore sono al Ministero proprio per discutere della questione. “La problematica è nota da anni – è la riflessione comune delle tre sigle – ma il quadro è in costante peggioramento. Stiamo parlando per la maggior parte di giovani che muovono i primi passi nel mondo dell’insegnamento scolastico e che spesso, spinti dalle motivazioni personali, sono disposti anche ad attraversare l’Italia per poter ricevere la temporanea assegnazione di una cattedra, alla ricerca di qualche punto per avanzare nelle graduatorie. Fermo restando il fatto che chi non ha il giusto titolo non riceve nemmeno quelli e si affida dunque soltanto all’aspetto economico. Oltre al danno si aggiunge la beffa”.

Il groviglio burocratico

Non è in discussione il fatto che gli stipendi verranno riconosciuti, ma i tempi d’attesa sono diventati davvero insostenibili: la principale ragione riguarda il farraginoso meccanismo amministrativo: si parte dall’inoltro della documentazione alla scuola presso la quale si presta servizio e da lì l’iter prosegue lungo tutta un trafila di passaggi che portano fino al Mef, il Ministero dell’Economia e delle Finanze: “Le variabili sono tante – riprendono i sindacati – e variano dai tempi di esecuzione delle singole segreterie, fino alle autorizzazioni rilasciate ai ‘piani superiori’. Ogni anno si discute dello stesso tipo di problematica, ma la situazione non migliora mai, anzi…”.

I casi limite

Vengono citati episodi di dirigenti scolastici che hanno deciso di anticipare di tasca loro quanto dovuto, per consentire agli insegnanti il pagamento dei canoni di affitto. “Non è questione di dire che gli stipendi sono bassi, ma lamentare il fatto che semplicemente non arrivano. E’ evidente che in queste condizioni la situazione non può reggere”. Sono i diretti interessati a confermarlo: “Personalmente – ha ammesso la docente a tempo determinato di Cagliari - sono in grossissime difficoltà. Non sono più in grado di fare la spesa”.

Richieste di certezze

“Il punto – chiudono i sindacati – riguarda la necessità di dare stabilità al lavoro. Il comparto scuola è un esempio eclatante, perché vive in una ormai apparentemente imprescindibile condizione di precarietà che riguarda una fetta importante delle donne e degli uomini che ci lavorano, dai docenti al personale Ata. Limitarsi a riconoscere il tema come fisiologico non fa che peggiorare le cose”.