Venerdì 26 Aprile 2024

In Italia i giovani che non studiano e non lavorano sono il doppio che nel resto d'Europa

L'ultimo rapporto dell'Ocse dipinge una situazione drammatica per il nostro Paese: la percentuale di Neet è pari al 34,6% nella fascia 25-29 anni mentre tra i laureati è al 21,9%

Il fenomeno dei Neet, senza lavoro, né studio e formazione

Il fenomeno dei Neet, senza lavoro, né studio e formazione

Con un acronimo si chiamano Neet: giovani che non studiano, non hanno un lavoro e nemmeno lo cercano. In Italia sono tantissimi. Nella fascia di età tra i 25 e i 29 anni sono il 34,6% (nel 2021), dopo essere saliti al 31,7% durante la pandemia (nel 2020), mentre in quella 20-24 anni la percentuale si ferma al 30,1%. I numeri, allarmanti, sono contenuti nell’ultimo rapporto dell’Ocse “Education at a glance 2022”, una raccolta di dati statistici (e analisi) sui sistemi di istruzione dei 37 Paesi membri dell’organizzazione che raccoglie gli Stati più industrializzati al mondo. Anche tra chi ha livelli di istruzione elevati la percentuale di Neet è molto alta.

Considerando i laureati tra i 25 e i 29 anni, i giovani che non seguono cosi di formazione e non lavorano sono il 21,9%, quasi il doppio della media Ue (11,4%) e ben più numerosi rispetto all’11,6% della Francia, al 6,7% della Germania e al 4,6% dell’Olanda. Peggio di noi in Europa fanno solo la Grecia e la Turchia, rispettivamente con il 34,1% e il 27,4% di Neet, mentre la Spagna fa meglio (18,4%). Senza contare poi che in Italia meno di un terzo dei giovani è laureato, contro il 48% della media Ocse. Certo, va detto che negli ultimi anni la situazione da questo punto di vista è migliorata. Tra il 2000 e il 2021 il livello di istruzione ha registrato un deciso incremento: la percentuale di laureati di età compresa tra i 25 e i 34 anni è aumentata di 18 punti percentuali (dal 10% nel 2000 al 21% nel 2011 e al 28% nel 2021). Nonostante questo, però, l’Italia rimane uno dei 12 membri dell’Ocse in cui l’istruzione universitaria è ancora molto poco diffusa rispetto ad altri Paesi, mentre la disoccupazione giovanile è su livelli elevatissimi.

Secondo gli ultimi dati Istat, ad agosto i giovani tra i 15 e i 24 anni senza un lavoro erano il 21,2%. Tornando ai laureati, la scelta del percorso di studi è molto importante nella prospettiva di trovare un lavoro. Sempre dallo studio dell’Ocse emerge che il tasso di occupazione di un laureato in medicina e professioni sanitarie è dell’89%, rispetto al 76% di un “dottore” in arte e scienze umane. Sembra premiato anche chi punta sull’Ict, ovvero le tecnologie dell'informazione e della comunicazione: il tasso di occupazione è pari all’88%. Ma non è solo un problema di formazione quello che affligge i giovani italiani. Anzi, è soprattutto la “domanda” da parte delle imprese a essere sul banco degli imputati.

Salari bassi, contratti precari e poche prospettive di carriera: sono questi alcuni dei fattori che spingono ogni anno migliaia di ragazzi a trasferirsi all’estero in cerca di un lavoro più soddisfacente (non solo sotto il profilo economico). Se guardiamo agli stipendi, il vantaggio per i laureati italiani è inferiore rispetto a quello dei Paesi Ocse. In altre parole, la distanza tra il salario di chi ha studiato e chi si è fermato a un livello di istruzione più basso non è molto grande, al contrario che all’estero. Un laureato italiano guadagna il 76% in più di una persona senza diploma di maturità, mentre nei paesi Ocse la retribuzione è poco più che doppia.

Secondo l’osservatorio della società di consulenza Mercer, in Italia lo stipendio di un neolaureato in un’azienda medio-grande è intorno ai 30mila euro lordi annui contro i 37mila di un francese e i 48mila di un tedesco. Dallo studio emergono anche altri due fatti inquietanti: un tasso di abbandono scolastico prima del diploma pari al 23% (contro il 14% della media Ocse) e pochissimi legami tra la scuola e il mondo del lavoro, visto che appena il 3% di chi ha meno di 25 anni ha svolto stage o tirocini negli anni di formazione.