I NUMERI sono quelli che fanno girare davvero la testa: mille pezzi prodotti al minuto, cinque poli aziendali, undici stabilimenti, circa cinquecento dipendenti sparsi per il mondo; e ancora cento tonnellate di oli usate all’anno, 97 anni di vita, terza generazione al comando e il 100% di export: "Beh, ma questo è perché in Italia non c’è più nemmeno un’azienda automotive". Ha le idee molto chiare Jody Brugola (nella foto), classe 1979, terza generazione che porta avanti un’azienda leader mondiale nella produzione di viti per il settore automotive.
Brugola, la sua azienda avrà anche 97 anni ma oggi vive un’epoca di enormi cambiamenti.
"Le auto sono sempre più complesse, ma noi continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto, componentistica. Certo, la produzione è sempre più variegata da quattro anni a questa parte, ma sviluppiamo da sempre viti e componenti per automotive e abbiamo un know how che ci permette di rimanere competitivi".
Siete ancora i leader mondiali delle viti per i motori delle auto?
"Sì, ci sono due aziende tedesche oltre a noi e poco altro. Siamo orgogliosi di essere i leader e crediamo di avere ancora la possibilità di migliorare ulteriormente nei prossimi anni, grazie all’elettrico e al diesel".
Cioè?
"Al di là delle vetture elettriche, infatti, ci sono alcune case che stanno sviluppando nuovi motori diesel. E poi all’orizzonte ci saranno anche nuovi clienti" (Stellantis e Tesla a partire dal 2024, nda).
Come mai tutti vi cercano?
"Perché abbiamo la capacità di andare dai clienti e ascoltarli. Noi siamo capaci di rispondere a tutte le loro necessità produttive, da chi ha bisogno di viti più piccole a chi richiede componenti speciali; la flessibilità e il poter rispondere ad ogni esigenza ci ha portato ad essere apprezzati da più clienti".
E Brugola crede anche nella transizione verso l’elettrico?
"Diciamo che negli ultimi anni è stata spianata l’autostrada all’elettrico, ma noi andiamo dritti per la nostra. Abbiamo sviluppato viti apposta per i motori a batteria, certamente; e anche in questo settore siamo leader. Ma mi piace sottolineare come nei primi sei mesi di quest’anno Brugola sia cresciuta a livello di fatturato del 33%, nonostante l’elettrico sia ancora un prodotto molto marginale in Italia e le vendite dei motori a combustione siano scese del 20%".
Non mi ha detto se crede o no nell’elettrico...
"Indipendentemente dalla mia idea, vedo che l’azienda è destinata a crescere ulteriormente. Non sta a me decidere o esprimermi sulla reale riuscita della transizione verso l’elettrico, semmai serve chiarezza da parte dei governanti, delle case auto e della politica in generale; al di là della tecnologia che ci sarà a bordo delle auto di domani, le viti le venderemo ovunque e comunque".
Il futuro appare alquanto frastagliato da questo punto di vista..
"Non mi sono mai permesso di dire che l’elettrico sarà un fallimento e non lo farò; di certo mi piace sottolineare che saranno le esigenze delle persone a decidere; l’ideale sarebbe poter scegliere la tecnologia che si preferisce, visto che oggi ad esempio il diesel è un motore molto pulito".
Come vede sua azienda tra dieci anni?
"Abbiamo di fronte sfide molto importanti; una sarà mantenere le competenze, che stanno letteralmente evaporando. Le nuove generazioni non sono attirate dal lavoro in fabbrica, è questa la cosa più triste; oggi tutti hanno uno smartphone e giocano alla Playstation, mentre è più difficile trovare un meccanico".
La soluzione?
"Unire esperienza e gioventù; la prima deve avere voglia di tramandare e la seconda di imparare. E poi bisogna adeguarsi al mondo che cambia, l’industria non deve essere vista come un qualcosa che inquina e basta, anzi. Noi rispettiamo il territorio, l’ambiente, abbiamo uno scarto del prodotto quasi nullo... e poi serve un welfare aziendale forte, che aiuti il lavoratore. Ad esempio cercheremo di stare sempre sopra il salario minimo, per far lavorare in maniera tranquilla le nostre persone. Che rappresentano, per l’appunto, le nostre competenze".
Come si sposa un’azienda che ha quasi cento anni con il progresso?
"Il progresso va sfruttato bene ma non bisogna diventarne succubi. Una stampante 3D può dare una mano allo sviluppo di una vita, ma non sostituirà mai l’elaborazione. Per questo abbiamo anche bisogno di nuovi operai che sappiano maneggiare il prodotto e i macchinari".
Avete un 100% di export ma siete l’emblema del made in Italy: vi sentite unici o un caso particolare?
"Lavorando con aziende sane, che pagano nei tempi corretti, e avendo la possibilità di collaborare con fornitori intelligenti e flessibili, si può fare tutto. Certo, tenendo il costo del lavoro sotto controllo; noi abbiamo subito un grosso ridimensionamento nel 2020, con un calo del 20% di fatturato e del 9% di personale. Oggi invece abbiamo ricominciato ad assumere e fatturare, riportando i numeri a livelli pre covid".
Quindi si può fare industria in Italia?
"Certo. Abbiamo la produzione in aumento, arriviamo a nove milioni di pezzi in un anno, non è poco. Per noi lavorare in Italia non ha mai rappresentato un problema e non abbiamo mai pensato di portare la produzione, ad esempio, ad est. Stiamo bene qui, nonostante in organico ci siano cinquecento persone, numeri molto importanti".
Vi siete allargati anche a Desio. Rimarrete a Lissone?
"Sempre. Abbiamo aperto un’azienda negli Stati Uniti che lavora per Ford, visto che non si poteva spedire oltreoceano la merce, avrebbe avuto costi incredibili. Ma a noi piace l’aria e la storia che si respira a Lissone, dove è partita quest’avventura".