I VIDEO AMATORIALI che mostrano gruppi di cinghiali aggirarsi indisturbati per le vie delle città, in particolare Roma, pullulano sul web. Ma gli ungulati sono in buona compagnia: si moltiplicano, infatti, gli avvistamenti cittadini di volpi, gabbiani, corvi, caprioli, istrici, martore. Cosa spinge gli animali selvatici ad avventurarsi nelle nostre città? Lo abbiamo chiesto a Davide Di Domenico (nella foto), biologo entomologo, esperto di ecologia urbana e referente scientifico dell’Associazione nazionale imprese di disinfestazione. In qualità di coordinatore della rivista ‘Ambienti sani’, Di Domenico modererà diversi appuntamenti nell’ambito di Pestmed, fra cui quello dedicato alla disinfestazione nella Gdo e quello sul controllo di qualità nella ristorazione, entrambi in programma il 29 febbraio.
"Ci sono diverse ragioni per cui le specie selvatiche sono sempre più attratte dai nostri centri urbani – esordisce lo studioso -: in primis, l’ambiente selvatico in cui erano abituate a vivere si è progressivamente ridotto ed è minacciato da altri predatori, nonché dall’attività venatoria. Se un cacciatore spara a un cinghiale adulto, ad esempio a una madre, può accadere che i suoi cuccioli, spaventati e disorientati, si spingano fino alle città in cerca di cibo, o di un riparo sicuro". E le aree urbane possono risultare, agli occhi di questi animali, ben più sicure e confortevoli del loro habitat naturale, non solo perché in città non si pratica la caccia, ma anche perché le ormai famigerate ‘isole di calore’ garantiscono temperature più alte di almeno 6-7 gradi rispetto alle aree di aperta campagna. Per non parlare della maggior disponibilità di cibo, dovuta a rifiuti abbandonati nei cassonetti o in contenitori lasciati impropriamente scoperti.
"Per rendersi conto di quanto sia cambiata, nell’arco di soli vent’anni, la fauna cittadina, basta uscire sul balcone di casa in pieno giorno: prima si potevano vedere merli, passerotti, uccelletti – prosegue Di Domenico – ora si vedono per lo più uccelli, come piccioni, colombacci, corvi, gabbiani, storni e gazze". I rischi igienici derivanti dal proliferare di queste specie sono collegati, in particolare, all’accumulo di escrementi, su cui possono annidarsi svariati agenti patogeni. "Se ciò accade in aree altamente sensibili, come scuole e ospedali – prosegue –-, occorre intervenire rapidamente, individuando e rimuovendo le cause che attirano gli animali (di solito legate alla presenza di cibo).
Un’altra soluzione – dimostratasi efficace, ad esempio, a Bologna – consiste nello studio del ‘corridoio ecologico’ che collega le aree verdi della città alle aree naturali circostanti. Una volta individuato il percorso compiuto dagli animali, si possono installare delle reti di protezione a maglia larga in taluni punti, per impedirne il passaggio". Sebbene si stiano affinando le strategie per tenere lontani gli animali selvatici dalle città e, contemporaneamente, tutelare il loro status di specie protette, la sensazione è che tale fenomeno stia diventando sempre più pervasivo per effetto del cambiamento climatico già in corso. "Il cambiamento climatico determinerà – conclude Di Domenico – da un lato, la diffusione di specie più adatte a condizioni persistenti di caldo umido (come roditori e insetti infestanti) e, dall’altro, la scomparsa di specie fondamentali per l’equilibrio degli ecosistemi, fra cui le libellule, varie specie di farfalle, le api e, più in generale, gli insetti impollinatori.
La loro sopravvivenza è messa a rischio, infatti, sia dalla siccità ostinata (che minaccia, a sua volta, piante e fiori), sia dall’uso massiccio, in agricoltura, di sostanze chimiche dannose per l’ambiente".