CI SONO 11.650 vignaioli con la medaglia d’oro cucita sul petto e ne vanno giustamente orgogliosi con la prospettiva di poterla tenere bene in vista ancora per molto tempo. Sono il team distribuito nelle varie cantine di Caviro, il colosso vinicolo cooperativo di Faenza (Ravenna), alle porte della Romagna felix, primo gruppo in Italia per quote di mercato con l’obiettivo di crescere ancora. I numeri di Caviro forniscono già un’idea di questa realtà: 37300 ettari di vigne dei soci, 27 cantine, copertura di 80 Paesi nel mondo per l’export, 184 milioni di litri venduti, 8,5% di tutta l’uva italiana prodotta (600mila tonnellate).
Caviro (Fondata nel 1966) ha chiuso il 2022-2023 con un fatturato consolidato di 423 milioni di euro, in crescita rispetto all’anno precedente e con indici finanziari stabili (Ebitda a 33,2 milioni di euro, Pfn a 74,3 milioni di euro). Risultati considerati soddisfacenti in un mercato, soprattutto interno, che l’anno scorso ha registrato una lieve flessione in particolare per quanto riguarda i vini rossi. A dicembre durante l’assemblea dei soci è stato anche rinnovato il cda con l’ingresso di quattro nuovi consiglieri e la riconferma alla presidenza di Carlo Dalmonte, manager di lungo corso dal 2012 ai vertici. Sono usciti Maurizio Baldisserri, Raffaele Drei, Francesco Labbrozzi e Gianfranco Ravaglia per cedere il posto a Giuseppe Alfino, Alberto Guerra, Alessandro Neri e Roberto Savini.
Lo scenario del gruppo faentino conferma del resto la solidità produttiva dell’Emilia Romagna che proprio a Faenza vede la presenza di un altro gruppo cooperativo di grandi dimensioni, Cevico, oltre naturalmente ad una galassia di produttori privati che popolano la Romagna del sangiovese e dell’albana, la Bologna del Pignoletto, Modena e Reggio Emilia terre di lambrusco. Caviro, ricordiamolo, ha dovuto scavallare un anno difficile perchè come gli altri produttori della Romagna ha subito la disastrosa alluvione di maggio.
I risultati del 2022-2023 sono stati trainati anche dal buon andamento di Caviro Extra, la società che muove l’economia circolare del gruppo, e dall’export che rappresenta 143 milioni di euro di fatturato (+16% sull’anno precedente), dei quali oltre 103 milioni provenienti dal settore vino. La crescita delle esportazioni è stata guidata soprattutto da mercati come quello del Regno Unito. Proprio sull’export Caviro da tempo si muove con una poderosa macchina di marketing che, accanto all’apprezzamento del prodotto, garantisce un allargamento costante dei confini di vendita. Caviro (800 premi negli ultimi anni) sforna bottiglie per tutte le tasche e per tutti i gusti con una gamma molto vasta che fa man bassa di riconoscimenti. La produzione contempla le eccellenze di 7 regioni italiane con Igt, Doc e Docg: Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Abruzzo, Puglia, Sicilia. Dalle cantine di Caviro escono quindi, tra gli altri, Sangiovese, diversi tipi di bollicine, Tavernello, Chianti, Amarone Valpolicella, Primitivo della Puglia. Nello storico stabilimento di Faenza si producono anche energia termica ed elettrica dagli scarti della lavorazione dell’uva e dalle potature del territorio.
"Il presente del nostro gruppo è concentrato sulla ripartenza – spiega il presidente Carlo Dalmonte (nella foto) – usciamo da un periodo che ci ha visti affrontare eventi come l’alluvione, ma anche eventi catastrofici come l’incendio che si è sviluppato nel sito faentino di Caviro Extra. Il tutto in un contesto di costi produttivi straordinari dovuti a quella che speriamo sia stata solo una fiammata inflattivo-energetica. Per questo il nostro impegno è volto a recuperare sul mercato un equo riconoscimento dei costi di produzione, operazione tutt’altro che semplice data anche la congiuntura economica che deprime il potere d’acquisto del “cliente tipo” dei nostri prodotti. Contestualmente – aggiunge Dalmonte – abbiamo rinnovato il management, con una direzione generale affidata a Fabio Baldazzi, Giampaolo Bassetti e Valentino Tonini, e il cda. Ora la gestione si concentra sull’efficienza organizzativa, sul contenimento della spesa ma anche sul rafforzamento commerciale. Ne sono una riprova le recenti nomine di Giovanni Lai alla direzione generale della controllata Gerardo Cesari spa e della nuova responsabile export di Caviro sca Luisa Bortolotto". Sulle prospettive future il numero uno pensa positivo: "È auspicabile che il nostro vino riesca ad aumentare di valore, anche facendo leva sui punti di forza che sono la filiera cooperativa e una sostenibilità “vera” basata su buone pratiche e sull’economia reale. Stiamo investendo in ricerca e innovazione e il 4 marzo inaugureremo un nuovo magazzino automatizzato nel sito produttivo di Forlì".
Sullo sfondo c’è anche la protesta degli agricoltori. "I produttori fanno a fatica a sviluppare redditività e le politiche europee stanno esasperando una situazione già difficile. La transizione ecologica è qualcosa su cui tutti dobbiamo impegnarci ma è un percorso che va fatto con pragmatismo e senza lasciare indietro nessuno. Siamo contrari alle posizioni ideologiche e crediamo che esista un altro modo per fare le cose e che debba partire dall’ascolto del mondo agricolo. Un’altra questione legata alla precedente è quella delle politiche di importazione che già oggi subiamo per i nostri prodotti destinati al mercato B2B. Deve prevalere il principio di reciprocità abbinato al principio di prudenza perché il rischio è che ciò che viene prodotto in Europa sia sottoposto a normative di sicurezza, salubrità e legalità ma che lo stesso non avvenga nei paesi extra Ue. Ciò che non rispetta gli standard europei deve rimanere fuori da questo mercato". Parole di buonsenso allineate col mondo agricolo che in questi giorni ha alzato la voce, con qualche eccesso, verso Bruxelles e a cui il governo Meloni ha lanciato un salvagente con i recenti provvedimenti.