Venerdì 26 Aprile 2024

Licenziamenti, i settori più esposti. Tremano seicentomila lavoratori

Il 30 giugno finisce la lunga moratoria. Le previsioni: tessile, auto e servizi subiranno le maggiori perdite

Il lavoro ai tempi della pandemia

Il lavoro ai tempi della pandemia

Il 30 giugno scatta l’ora x che segna la fine del blocco dei licenziamenti e dal primo luglio si entra quindi in una zona a rischio altissimo di cessazioni di rapporti di lavoro. I posti maggiormente in bilico potrebbero essere quelli del comparto tessile e dell’auto, nella prima fase, dei servizi dall’autunno in avanti, ma l’intero assetto del lavoro italiano potrebbe risultare profondamente mutato. I numeri, del resto, sono elevati: secondo la più recente stima di Bankitalia con il ministero del Lavoro gli occupati in pericolo sono almeno 477mila, che salirebbero a oltre 600mila considerando le "vittime" di un altro giorno x, il primo ottobre, data in cui si sbloccheranno i licenziamenti nelle Pmi e nel terziario.

Lo sblocco del primo luglio

Saltata la proroga al 28 agosto voluta dal ministro Andrea Orlando, dal 1° luglio, le aziende di manifattura e costruzioni usciranno dalla cig Covid-19 e non avranno più divieti automatici di licenziare. Le imprese ancora in difficoltà, tuttavia, potranno tornare ad accedere alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria, senza pagare i contributi addizionali fino al 31 dicembre. Solo per costoro, vale a dire per le imprese che utilizzeranno questa cig "scontata", si allungherà il divieto di licenziamento per tutta la durata in cui fruiranno della cassa integrazione.

I posti che si perdono

Secondo la Banca d’Italia e il Ministero del Lavoro, i licenziamenti, tra quelli congelati dal blocco e quelli che potrebbero arrivare come riflesso della grave situazione macroeconomica e delle difficoltà delle imprese, ammonterebbero a quasi 600 mila. Il dossier evidenzia che "I rapporti di lavoro che si sarebbero interrotti indipendentemente dalla pandemia e che la misura di blocco ha preservato sono circa 240.000 nel 2020 tra le imprese del comparto privato non agricolo e ulteriori 120.000 nel 2021". Se si vuole calcolare quanti licenziamenti incombono, però, non è tutto: "A questi si aggiungeranno quelli rinconducibili alla riduzione dell’attività economica causata dalla crisi, stimabili in circa 200.000".

L'impatto sui settori

Riguardo ai settori a maggior rischio, a parte tessile e auto, "è indubbio – sintetizza Emmanuele Massagli, presidente di Adapt - che un inevitabile incremento dei licenziamenti si osserverà, in particolare, nelle piccole e medie imprese di commercio, ristorazione, turismo e servizi. Va migliorando un poco la situazione della edilizia. Decisamente più solide l’industria meccanica, chimica ed alimentare, già in ripresa". Per il professore bocconiano Maurizio Del Conte, però, "i settori più colpiti sono nei servizi, ma le filiere sono sempre più interconnesse, quindi anche la produzione industriale potrebbe risentirne. Basti pensare all’impatto che avrà l’aumento dei costi delle materie prime". Di certo il mercato del lavoro ne uscirà profondamente mutato: "I miliardi del Pnrr su digitale e transizione green produrranno la corsa ad accaparrarsi le professionalità tecnico-scientifiche".

Gli strumenti salva-lavoro

Quali le armi da poter mettere in campo? Per Massagli "gli strumenti alternativi al blocco dei licenziamenti spesso citati sui giornali (oltre alla cassa Covid, il contratto di espansione, l’esonero contributivo, la nuova Naspi) sono interessanti, ma complessi da attivare e rivolti essenzialmente alla grande impresa. Potrebbero ridurre le stime del 10-15%". Fondamentale rifondare la formazione professionale, attraverso un piano ad hoc nazionale, evidenzia Del Conte. Stop dunque allo "spreco di risorse su materie come le lingue straniere o i pacchetti di videoscrittura". E sostegno agli enti di formazione che preparino "in materie che abilitano alla transizione digitale e alla trasformazione energetica".

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