C’ERA UNA VOLTA un mondo del lavoro in cui fare carriera rappresentava un obiettivo importante da raggiungere. Poi le priorità sono cambiate, soprattutto a seguito della pandemia, mettendo in primo piano il work life balance, ovvero l’equilibrio tra la vita privata e il lavoro, l’appartenenza, la flessibilità, oltre ai fattori materiali come lo stipendio. Perciò si è ridotta la spinta a ottenere una promozione sul lavoro, almeno secondo il Workmonitor, l’indagine realizzata da Randstad in oltre 30 Paesi, che ha messo sotto la lente ambizioni e motivazioni nello sviluppo professionale. Secondo la ricerca – che ha coinvolto oltre 26mila lavoratori di età compresa tra i 18 e i 67 anni – oltre metà degli italiani si dichiara "ambizioso" nella propria carriera, ma il 42% in questo momento non è concentrato nell’avanzamento di ruolo.
Più in generale, metà dei lavoratori (50%) sarebbe disposta a rimanere in un ruolo che gli piace anche se non ci fosse spazio per crescere e un terzo (34%) non desidera del tutto una progressione di carriera perché è già felice del ruolo attuale. Solo per il 35% una promozione o un nuovo ruolo rappresentano una priorità. Ma c’è un 34% di italiani che, potendo scegliere la massima ambizione professionale, non assumerebbe in ogni caso ruoli manageriali. Quasi metà (49%) degli italiani in passato ha richiesto al proprio capo un miglioramento di condizioni o retribuzione, ma solo il 13% ha minacciato di licenziarsi nella negoziazione.
Sempre secondo il Randstad Workmonitor, oggi per il 72% degli italiani il proprio lavoro è importante nella vita, in calo di 5 punti rispetto a un anno fa. Ma crolla soprattutto la motivazione: si dice "motivato" nel ruolo attualmente ricoperto il 60%, 9 punti percentuali in meno di un anno fa. Il 51%, invece, si dichiara "ambizioso" per la propria carriera. A influenzare l’ambizione sono soprattutto l’età, gli eventi della vita, gli obiettivi personali e le opportunità che si presentano.
I fattori più rilevanti nel lavoro per gli italiani sono principalmente l’equilibrio tra lavoro e vita privata (94%), la retribuzione (93%) e la sicurezza del lavoro (90%). Poi il "sentirsi realizzati" (87%), la flessibilità di orario (80%), il numero di giorni di ferie (79%), la formazione (79%), l’assicurazione sanitaria (75%). L’opportunità di un avanzamento di carriera è solo al nono posto, evidenziata dal 74% del totale, superando di poco la politica sui congedi parentali (70%), i valori del datore di lavoro (69%), la possibilità di lavorare da remoto (67%).
"Il Workmonitor evidenzia una forte calo della motivazione al lavoro tra gli italiani, un evidente segnale di malessere che va ascoltato e compreso – commenta Marco Ceresa (nella foto), Group ceo di Randstad –. Il lavoro si conferma fondamentale nel fornire senso e scopo alle persone ma, oltre alla carriera, sempre più lavoratori includono anche altro nella definizione della propria ambizione professionale, che oggi non può prescindere da aspetti valoriali, di flessibilità e di equilibrio con la vita personale. Esigenze che le aziende devono impegnarsi a soddisfare con politiche HR sempre più complesse e articolate".