Giovedì 25 Aprile 2024

La birra artigianale fa boom grazie alla tassazione agevolata «Ma siamo ancora troppo piccoli»

Gabriele Tassi

MILANO

QUELLA MEDAGLIA di legno non compare nell’albo d’oro dei perdenti. Nell’universo dei paesi di grande tradizione brassicola è davvero un risultato trovarsi sul quarto gradino del podio per numero di birrifici artigianali. Dalle Alpi al tacco dello Stivale se ne contano circa 860, un numero che ci colloca appena dietro la Francia (950), la Germania (1.408) e il colosso del Regno Unito (oltre 2000). Se il risultato suona straordinario – per un paese con una tradizione birraria non esagerata –, altrettanto non si può dire per i volumi di produzione, che fanno sprofondare l’Italia al decimo posto della classifica europea. Qualcosa non torna: c’è una certa discrepanza fra il numero di birrifici attivi e i boccali effettivamente consumati dalla popolazione. Secondo il direttore generale di Unionbirrai (l’associazione di categoria), Vittorio Ferraris, «il nodo è soprattutto culturale. In Italia abbiamo sempre bevuto prevalentemente birra ‘lager’ (la classica bionda). Inoltre, la bevanda con le bollicine è univocamente considerata come un bene a basso costo».

Ferraris, cos’è successo con l’avvento della produzione artigianale?

«Sulle tavole degli italiani è arrivato un altro tipo di consumo, non così a economico, ma non tutti sanno effettivamente di cosa si parla, e per questo a mancare – per certi – versi, sono soprattutto i clienti».

Il consumatore è rimasto spiazzato? O che altro?

«Il consumatore, prevalentemente andrebbe istruito. Sono tante le situazioni che ci si presentano: da chi non ha mai sentito parlare del prodotto artigianale, a chi crede di trovarsi di fronte a una birra ‘fatta in casa’, ma è in realtà è caduto nella rete dell’industria, acquistando un prodotto che l’artigianale lo ‘scimiotta’ solamente. Per questo Unionbirrai ha fondato l’Osservatorio sulla birra in collaborazione con la facoltà di Agraria dell’Università di Firenze, proprio per creare un ombrello per chi ha fatto dell’artigianalità la propria filosofia di impresa. Una tutela ulteriore è arrivata nel 2018, con il marchio ‘Indipendente artigianale’, un’etichetta collettiva che garantisce la provenienza delle bottiglie e dei fusti».

Il consumo complessivo di birra è fra i pochi che crescono nel Paese, con un aumento del 3,2% nel 2018 e acquisti per oltre il miliardo di euro. Vale anche per l’artigianale?

«Siamo una piccola fetta di quella torta, pari a poco più del 3% nazionale, ma negli anni siamo cresciuti tantissimo, oltre il 330%, generando qualcosa come 3mila posti di lavoro. Nella maggior parte dei casi, al momento, si parla ancora di piccoli produttori, in certi casi piccolissimi».

Qual è quindi il principale ostacolo al consumo?

«Ci sono due indicatori importanti: in primis il prezzo, che rappresenta una barriera culturalmente difficile da superare per l’italiano medio, che ha sempre acquistato a basso costo. Oltre a questo, c’è la difficoltà nel reperire il prodotto: in molti nemmeno lo conoscono, in altri casi si parla ancora di un mercato specialistico ‘circoscritto’ a determinati locali».

Sul vino però state recuperando posizioni.

«Sì, ma si tratta di un lungo processo. Ci vorranno decenni probabilmente perché la birra artigianale possa essere considerata alla pari di un Barolo o di un qualsiasi prosecco. Un passo importante è stata la riduzione delle accise: una tassazione agevolata del 40% per chi produce fino a 10mila ettolitri l’anno. Un contributo importante, che garantisce un risparmio fino a 20mila euro, una boccata d’ossigeno le aziende in erba».

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