Martedì 15 Ottobre 2024
ELENA COMELLI
Economia

Industria green, la sfida dell'Europa per risolvere la competitività delle nostre imprese

L'idea della presidente Ursula von der Leyen è di proporre già in febbraio un 'NetZero Industry Act'

Ursula von der Leyen (Ansa)

Ursula von der Leyen (Ansa)

Roma, 26 gennaio 2025 - Rispondere agli incentivi green dell'amministrazione di Joe Biden e al predominio della Cina nella disponibilità di materie prime rare. Mettere a punto un sistema industriale che non sfiguri al cospetto delle superpotenze economiche mondiali e che internamente non generi disparità. Armonizzare i fondi esistenti, per far sì che funzionino meglio. E magari crearne di nuovi, a partire da un superfondo sovrano alimentato con debito comune. La questione è aperta in Europa e la via per risolvere il problema della competitività delle nostre imprese, alle prese con i rincari spietati e la concorrenza sussidiata dagli altri Paesi del mondo, ancora inesplorata. Quel che è certo, sostiene il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, è che bisogna fare in fretta. Questione di giorni, settimane, ma già i mesi sarebbero eccessivi e metterebbero in difficoltà le nostre imprese.

L'idea della presidente Ursula von der Leyen è di proporre già in febbraio un “NetZero Industry Act”, per rendere l’Europa patria della tecnologia pulita e dell’innovazione industriale. Per raggiungere quest’obiettivo, l’Ue conta di semplificare la normativa sugli aiuti di Stato, in modo da consentire una maggiore flessibilità nell’introduzione di sovvenzioni e prestiti. In un discorso al Forum di Davos, von der Leyen ha parlato di alcuni pilastri del piano. Uno regolatorio, riguardante la velocità d'esecuzione e la rapidità per "creare le condizioni" di un rapido sviluppo industriale in ambiti quali eolico, solare, pompe di calore, idrogeno pulito, batterie. La Ue sta anche ragionando di semplificare i requisiti per i cosiddetti Ipcei, Important Projects of Common European Interest, focalizzati sulle tecnologie pulite.

Bisogna evitare, però, la frammentazione e la sperequazione fra i Paesi membri. L'ha assicurato la vice presidente della Commissione Europea, Margrethe Vestager, intervenuta mercoledì 25 gennaio al summit Cleantech for Europe. La grande novità dell'Inflation Reduction Act (Ira), il piano americano da 370 miliardi di dollari per la transizione ecologica, “è ovviamente che gli Stati Uniti sono entrati a pieno ritmo nella lotta contro il cambiamento climatico. Questa è una buona cosa”, ha detto Vestager. “Contiene però - ha aggiunto - una serie di disposizioni discutibili e corre il rischio di indebolire la nostra collaborazione nella lotta alla crisi climatica”. Il timore - molto concreto dato che alcuni casi si sono già verificati - è che le aziende europee dell'energia pulita abbandonino il Vecchio Continente e vadano negli Stati Uniti per poter usufruire degli incentivi.

“E' un rischio a cui dobbiamo rispondere”, ha detto Vestager. Ma come? “Stiamo lavorando per semplificare e accelerare le nostre norme sugli aiuti di Stato. Ma questo non può avvenire a spese del mercato unico, della nostra competitività a lungo termine e dei contribuenti”, ha spiegato. Tale intervento “può essere solo temporaneo”, ha sottolineato. “Evitare la frammentazione può anche significare maggiori finanziamenti a livello europeo: per questo motivo proporremo un Fondo europeo per la sovranità, abbinato a soluzioni a più breve termine per colmare il divario di finanziamento fra gli Stati”, ha sottolineato.

Su questo punto, Vestager ha avuto un lungo colloquio con il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Il problema è che un via libera agli aiuti statali è da più parti giudicato insufficiente. Lo ha recentemente sintetizzato il ministro italiano Giancarlo Giorgetti all'Ecofin: "Il semplice allentamento delle regole degli aiuti di Stato non è una soluzione, perché avvantaggerebbe in maniera sproporzionata gli Stati membri che godono di un margine di bilancio piú ampio, aggravando così le divergenze economiche all'interno dell'Unione, con la conseguente frammentazione del mercato interno". La questione è chiara: se si dà carta bianca ai Paesi membri di sovvenzionare le loro imprese, chi ha più risorse interne di bilancio potrà rendere più competitivo il proprio tessuto industriale a discapito di chi è troppo indebitato, come l'Italia, per aumentare la spesa pubblica.

Il ragionamento della Commissione è che ci vogliono strumenti unitari per rispondere a quel che fanno le altre superpotenze. Lo stesso commissario al Mercato interno, Thierry Breton, ha portato i numeri dei fondi già annunciati da molti Paesi a favore delle tecnologie pulite. Li ha quantificati in 250-280 miliardi di euro su dieci anni, ma se si considerano i 100 miliardi tedeschi, 45 olandesi e 55 francesi, si capisce come siano concentrati su pochi Paesi. Dal resoconto 2022 della portavoce per la Concorrenza emerge che il totale degli aiuti dell'anno scorso è stato di 540 miliardi di euro, di cui la metà riguarda la Germania, mentre l’Italia ne ha chiesto solo un ventesimo: "La Germania ha notificato il 49,3% del totale degli aiuti approvati, la Francia il 29,9%, l’Italia il 4,7%, la Danimarca il 4,5%, la Finlandia il 3,2%, la Spagna l’1,8%".

Il problema è che un salto di qualità nella risposta europea, ovvero mettere soldi comuni sul piatto, non è semplice. La Germania è fredda e il fronte del Nord frena. La soluzione minimalista propugnata dal fronte del Nord è di restare nell'ambito del Recovery fund, lo strumento da 750 miliardi per sostenere la ripartenza post-pandemica e che vede proprio lo sviluppo green tra i suoi pilastri. Non tutti i fondi sono stati già utilizzati, è il ragionamento dei minimalisti, e quindi bisogna prima finire di attingere quel che resta. Fondi, per altro, che già sono stati re-indirizzati anche al RePowerEu, piano concepito come risposta alla crisi energetica.

La Commissione punta invece come minimo ad ampliare il fondo Sure, lo schema anti-disoccupazione europeo da 100 miliardi, e come massimo a creare un nuovo veicolo, un Fondo sovrano europeo, che possa realmente competere al pari con le altre economie. Il pivot naturale sarebbe la Banca europea per gli investimenti, primo istituto finanziario multilaterale che nel 2021 ha finanziato con quasi 95 miliardi di euro imprese pubbliche e private. Il cancelliere Olaf Scholz su questo nicchia e pensa piuttosto a un veicolo che in prima battuta raccolga i fondi esistenti e solo come ultima istanza ricorra a nuovo debito. L'olandese Mark Rutte, a sua volta, resiste. La frattura è ancora una volta ampia.